Il cinema francese ha solide basi produttive e artistiche. Claude Lelouch incarna una delle figure di spicco di questa seconda parte. Dai tempi di Un uomo, una donna (Un homme et une femme, 1966), il suo maggior successo commerciale, ha continuato a raccontare storie sentimentali con una grazia e un’attenzione che ne fanno un vero maestro di questo genere.
Parliamo delle mie donne porta la data produttiva del 2014, ma arriva solo ora sui nostri schermi con un titolo assai più banale dell’originale Salaud, on t'aime, che potremmo tradurre liberamente Stronzo, ti amiamo che individua con sufficiente precisione la storia raccontata che è quella di Jacques Kaminski, un importante fotografo di guerra che ha trascorso la sua esistenza in giro per il mondo sposando numerose donne e mettendo al mondo quattro figlie delle quali si è sempre occupato poco. Arrivato attorno ai settanta, compera una splendida abitazione ai piedi del Monte Bianco, versante francese. Qui incontra un’ultima compagna, l’agente immobiliare che gli ha venduto la casa, ed è raggiunto dalle figlie grazie a uno stratagemma, che tale in realtà non è, inventato dal suo medico curante. Il regista dedica il film ai suoi figli: sette avuti da cinque donne diverse ed afferma, con un pizzico d’ironia non lontana dal vero, che nemmeno il giorno del suo funerale si ritroveranno tutti insieme. E’ una storia sulla vecchiaia di un uomo famoso e contiene molti elementi autobiografici ed è a tratti commuove per le verità che gli attori le sanno imporre. Fra gli interpreti un ruolo fondamentale riveste Sandrine Bonnaire capace di rendere vero un personaggio intriso di dolore, mentre Johnny Hallyday è un po’ troppo monocorde per convincere sui travagli che attraversa e, soprattutto, sulla scelta drammatica che compirà nel finale.