Per La tenerezza Gianni Amelio ha tratto spunto, molto liberamente, dal libro La tentazione di essere felici (2015) di Lorenzo Marone. Volume e film hanno al centro l’anziano ex – avvocato, Cesare Annunziata, che, dopo la scomparsa della moglie avvenuta cinque anni prima, si è rinchiuso nel grande appartamento napoletano in cui ha vissuto sino ad allora e rifiuta di avere rapporti con il resto del mondo.
Scambia qualche frase con una vicina di casa, non meno anziana di lui, e con l’amante – infermiera con cui intrattiene un rapporto fra il burbero e l’utilitaristico. Un giorno scopre che nell’appartamento che confina con il suo è andata a vivere una famiglia, dall’apparenza felice, in realtà travolta dall’instabilità mentale del marito che, dopo pochi mesi, uccide i figli e ferisce a morte la consorte. A questo punto l’anziano avvocato, che aveva quasi troncato i rapporti con figlia e figlio, adotta la moribonda come una seconda figlia, la veglia in ospedale, s’interessa del suo stato di salute, sfida medici e poliziotti per restarle vicino. La donna spira, ma l’intera tragedia è servita a far rivivere un rapporto vero con la figlia carnale che, nell’ultima immagine, prende per mano l’anziano genitore. È un film sulla solitudine più che sulla tenerezza e, soprattutto un testo dolente sulla vecchiaia e sul sentirsi scorrere fra le sita le ultime energie. Renato Carpentieri dà vita a questo personaggio con tutta l’esperienza che nasce da una luna vita artistica e raggiunge qui il punto più alto della sua arte. Intorno a lui una Napoli finalmente non folcloristica, ma degradata al punto giusto, una città densa di problemi e tragedie una delle quali è proprio quella di non prestare attenzione alla solitudine degli anziani e non tenere conto della rabbia che cova nelle loro menti per l’abbandono degli uomini e la marcia implacabile degli anni. In questo il finale risulta sin troppo consolatorio, ma è in piccolo difetto a fronte dell’importanza dei temi affrontati e la lucidità con cui sono descritti.