Sergei Loznitsa (1964) è un apprezzato documentarista bielorusso che, qualche volta, si è cimentato, con successo, nel lungometraggio narrativo, non dimenticando mai la sua vocazione primaria che è quella di una forma di testimonianza intrisa di elementi che sfiorano l’inusuale.
Austerlitz, ispirato vagamente al libro omonimo di W.G. Sebald, è una riflessione sui visitatori del campo di sterminio nazista di Sachsenhausen, 35 chilometri a nord di Berlino. Il discorso che interessa il regista esclude quasi per intero gli effetti museali del sito, per concentrarsi, con poche inquadrature fisse sui visitatori, sui loro abiti e comportamenti. L’asse del film focalizza il legame che collega, meglio dovrebbe collegare, l’immenso dolore che si è consumato in quel luogo e la riflessione sulla ferocia dei nazisti e sulla drammaticità dei fatti lì consumati. Una posizione chiara sin dalla prima inquadratura, con l’arrivo dei visitatori in comitive vocianti e la scelta della migliore inquadratura da cui riprendere il cancello con la scritta Arbeit Macht Frei (Il lavoro rende liberi) con cui si illudevano i detenuti di essere arrivati in un campo di lavoro e non di sterminio. Un fatto contraddetto dai pali a cui venivano impiccati i prigionieri indisciplinati, le camere a gas, i forni crematori. Tutto questo è oggi una sorta di scenografia utilizzata come sfondo per foto ricordo in cui certi visitatori arrivano a mettersi in posa davanti ai crematori o ai muri di fucilazione. Non meno contradditorio l’abbigliamento denso di magliette con scritte pubblicitarie, frasi pseudo filosofiche o gli spazzi utilizzati per anacronistici picnic. La presa di posizione del regista è a sfavore della mercificazione di un luogo trasformato in occasione di gita. Nel film manca qualsiasi commento alle immagini se si escludono le voci delle guide che, con un certo anacronismo, continuano a spiegare ai visitatori gli orrori che si sono consumati fra quella pietre. Un film drammatico e un ammonimento a non trasformare in gadget i reperti terribili che la storia si è lasciata dietro.