L’australiano Garth Davis, molto noto per la sua attività nella pubblicità (ha vinto vari premi) e con un’esperienza sul medio metraggio fatta attraverso la realizzazione di una decina di telefilm, si avvicina al lungometraggio non certo da sprovveduto, dimostrando di conoscere bene il mezzo e, perché no, il mestiere di narratore.
Un appunto glie lo si deve fare: dirige come un buon artigiano senza mai tentare di raccontare in maniera originale una storia innegabilmente interessante che poteva coinvolgere molto di più. Intendiamoci, la lacrimuccia sgorga più volte in un pubblico dalla sensibilità molto sviluppata, ma è più un riflesso meccanico’ che non vera emozione. La storia si divide in due parti, con attori diversi che impersonano il bimbo in periodi diversi della vita. Il bravissimo debuttante Sunny Pawar, che dimostra meno dei suoi 8 anni, è stato scelto tra oltre 2000 ragazzini perché dotato di una non comune espressività. Il suo personaggio si trova a Calcutta, 1600 chilometri dal paese in cui abita, dove si parla un’altra lingua e lui ha difficoltà a capire ed a essere capito: nella realtà non parla inglese e ha avuto da lottare non poco per riuscire a lavorare con persone che si esprimevano in maniera per lui incomprensibile. Questo ha reso ancora più credibili le sue difficoltà. Buona la scelta del regista di tenere la macchina da presa ad altezza bambino, creando una certa tensione emotiva soprattutto nelle stazioni sovraffollate così come in certe vie della città. Meno interessante quando si occupa dei problemi dell’indiano ormai divenuto adulto e cittadino australiano – era stato adottato da ricca famiglia che viveva in Tasmania – che cerca di scoprire le sue origini, vuole tornare al suo paese di nascita per rincontrare il fratello maggiore, la madre, la sorellina. Il pur bravo Dev Patel, attore inglese di origine indiana che ha ottenuto la notorietà con The Millionaire (Slumdog Millionaire, 2008) di Danny Boyle e Loveleen Tandan, non riesce a coinvolgere: tutto è prevedibile con una certa tendenza alla semplificazione dei fatti, a tratti forse anche poco credibile. Brava Nicole Kidman, assolutamente in parte quale madre che ama profondamente il figlio che ha conosciuto quando aveva già 6 anni. Davis gira inquadrando quasi sempre da lontano per poi zoomare su quanto vuole raccontare: bello una volta, un po’ troppo ovvio le successive. Un bambino indiano attende il fratello maggiore in stazione, ha freddo, sale su treno che parte e si trova nella lontanissima Calcutta. Incontra gente che lo vuole vendere agli occidentali, ragazzini come lui con cui condividere la vita di vagabondi, la durezza di orfanatrofi che sembrano prigioni correzionali. Per sua fortuna un’umana assistente sociale lo fa adottare da una coppia australiana agiata e molto affettuosa. Anni dopo, ormai adulto, si innamora di una ragazza ed entra in crisi di identità: per questo decide, utilizzando Google Earth, di analizzare una per una tutte le stazioni ferroviarie dell’India finché non riesce a trovare quella giusta.