Nel 1954 il regista giapponese Akira Kurosawa (1910 – 1998), uno dei maestri del cinema moderno, diresse I sette samurai (Shichinin no samurai). Il film, ambientato nel Giappone nel periodo a cavallo tra il 1587 e 1l 1588, racconta la storia di un pugno di contadini in cerca di una difesa contro la prossima incursione da parte di un gruppo di predoni affamati.
L'anziano del villaggio suggerisce di cercare aiuto tra i samurai senza signore, i cosiddetti Rōnin. Alla fine solo sette guerrieri accettano l’incarico e sfidano i briganti. Nel 1960 il regista americano John Sturges diresse un remake della storia, ambientandola nel far west e intitolandola I magnifici sette (The Magnificent Seven). Il film divenne quasi subito un classico del genere, sia per la fama degli attori che vi compaiono (fra gli altri Yul Brynner, Eli Wallach, Steve McQueen, Charles Bronson e James Coburn), sia per l’impianto democratico su cui si reggeva: i pistoleri che si mettono al servizio dei poveri contadini messicani per contrastare le prepotenze dei banditi. E’ ora la volta del regista di colore Antoine Fuqua che firma una nuova edizione di questa storia, I magnifici 7 (The Magnificent Seven), affidandosi a una pattuglia di attori multirazziali (fra cui Denzel Washington, Chris Pratt, Ethan Hawke: Goodnight Robicheaux, Vincent D'Onofrio, Lee Byung-hun) e spingendo ancor più sul pedale della rappresentazione della violenza. In altre parole se il senso di difesa degli umili rimane, lo si affianca ad una denuncia non già dei predoni feroci, bensì dei capitalisti esosi, pronti a ricorrere alla violenza e alla corruzione pur di ottenere i profitti a cui ambiscono. E’ un’ottica forse più attuale, ma che non intacca l’essenza di un’opera che trova la sua ragione d’essere nel conflitto fra pistoleri buoni e mercenari cattivi. Come dire che c’è più di un motivo, nonostante le buone intenzioni e la tecnologia, per ricordare con nostalgia quel vecchio titolo di oltre cinquant’anni or sono.