Nahid è primo lungometraggio narrativo dell’iraniana Ida Panahandeh. Il titolo cita una giovane divorziata che lotta con le unghie e con i denti per mantenere la custodia del figlio affidatole dalla sentenza di divorzio a patto che non si risposi.
Costantemente in lotta per gli affitti non pagati, le marachelle del ragazzo e le proposte di matrimonio avanzate dai parenti, la giovane vorrebbe accettare la corte del suo datore di lavoro, ma teme di perdere il figlio. Quest’ultimo, non mostra né rispetto né affetto verso la madre preferendo la compagnia del padre naturale che continua a frequentare pessime compagnie e a non pagare i debiti di gioco. Il film racconta questa lotta fra le necessita e l’attrazione sentimentale con un tratto sottile e rispettoso che non dimentica le difficoltà anche suk versante della nuova, possibile relazione. E’ il ritratto di una condizione femminile disperata e marginale, la precisa radiografia di uno dei punti di frattura di una società in bilico fra integralismo religioso e anelito alla modernità. Il ruolo delle donne è un punto dolente di una società che conserva ancora forti connotati maschilisti. Il cinema iraniano sta uscendo a fatica dalla cappa oppressiva che l’opprime dai tempi della presidenza (2005 – 2013) dell’integralista Mahmud Ahmadinejad, quello che teorizzava la scomparsa dello Stato di Israele dalla carta geografica e ha di fatto emarginato le migliori forze del cinema iraniano. Oggi quel percorso sta mutando e film come questo, a cui vanno aggiunti vari altri titoli presenti e passati – da Lavagne (2000) di Samira Makhmalbaf, a Melbourne di Nima Javidi – indicano un punto dolente della struttura sociale del paese. Un punto di rottura che non può più rimanere in silenzio.