Mai titolo – italiano – fu più esatto: Passo falso non riassume soltanto il contenuto, ma sottolinea la prova mal riuscita di Yannick Saillet, realizzatore ora cinquantenne e qui al suo debutto nel lungometraggio. Figlio di un militare, ha trascorso la sua infanzia tra l'Africa, l'Asia e l'Europa. A diciassette il suo primo cortometraggio e ha poi lavorato come assistente di Serge Gainsbourg, Margarethe von Trotta, Olivier Assayas: dal 1993 al 2007 ha prodotto più di 160 Video per artisti francesi e internazionali come Curt Smith (Tears for Fears), Marc Almond (Soft Cell), Celine Dion, Garou, Yannick Noah o Jay-Jay Johanson.
Il film nasce da una sofferta coproduzione franco-italiana e il regista ha cercato di realizzare il sogno della sua vita utilizzando un soggetto da lui scritto assieme ad uno degli interpreti, Jérémie Galan. Risultato a dire poco deludente e noia assoluta nonostante la brevità – meno di ottanta minuti – e l’intenzione di utilizzare le tensioni del thriller. Racconta del mondo dei militari, che lui ha frequentato fino ai diciassette anni, e si capisce che lo conosce bene. Ma, forse, questo amore non gli permette di prendere le giuste distanze da quanto descritto. A ciò va aggiunta la una scarsa capacità nel dirigere e una cronica povertà nel budget che rende ogni cosa di notevole ripetitività con uno sconfortante utilizzo di location non certo emozionanti. L’impressione che si ha è di assistere ad un cortometraggio gonfiato al massimo per potere essere spacciato per un prodotto per sale cinematografiche, è decoroso nella realizzazione ma assolutamente privo di interesse e di tensione. Giunto sui nostri schermi con due anni di ritardo, presentato fugacemente in Francia e Giappone, difficilmente potrà essere visto da molto pubblico anche perché presentato in un momento considerato di bassissima stagione. Non ci risulta che Yannick Saillet abbia ulteriori progetti cinematografici e questa è sicuramente una buona notizia. Niente flashback né cambi di scena; come in una commedia teatrale, tutto si svolge in pochi metri. Nel deserto afgano vediamo passare cani, donne e bambini. L’azione si svolge durante il conflitto in Afghanistan in cui erano coinvolti anche militari europei. Dopo essere scampato ad un’imboscata, un sergente francese mette un piede su mina inesplosa: se si muove, se stacca il piede dall’ordigno il venir meno del peso che ha innescato la bomba la farà detonare. Un passo falso segnerebbe la sua morte. La sua speranza di sopravvivenza è l’utilizzo della ricetrasmittente e dal riuscire a raggiungere il suo equipaggiamento. Di fronte a lui si trova un camion carico di droga e una donna francese – di cui conosceremo il volto solo nel finale perché coperta da un bavaglio e da questo resa muta - tenuta in ostaggio dalle milizie talebane. Tra i due nasce un dialogo (la donna utilizzando solo rumori provocati da un sasso) e la speranza, assieme, di tornare a casa.