C’era molta attesa per Julieta, del sempreverde regista spagnolo Pedro Almodóvar, ma parte dell’aspettativa è andata delusa. Infatti c’è ben poco d’interessante nella la storia di questa vedova di mezza età che riesce casualmente a scoprire dove vive la figlia, ormai madre di tre bambini, e a capire il motivo per cui, da oltre un decennio, non le ha dato più notizie.
Tutto si ricollega alla morte del marito e padre, scomparso in mare nel pieno di una tempesta. L’uomo, fonte di un amore travolgente per la donna, ha preso il largo dopo una lite coniugale per cui lei e la figlia sono ora oppresse da un identico senso di colpa. E’ un melodramma inseribile nella tradizione narrativa cara a questo cineasta, ma senza quelle venature d’ironia e cattiveria che hanno reso memorabili opere come La legge del desiderio (La ley del deseo, 1987), Tutto su mia madre (Todo sobre mi madre, 1999) e Parla con lei (Hable con ella, 2002). In queste opere e, parzialmente, anche in quella di cui stiamo riferendo, il regista spagnolo mostra di saper padroneggiare alla perfezione le regole basilari del racconto melodrammatico, ricorrendo con misurazione e sapienza a scene madri, colpi di teatro e esplosioni di sentimenti ben calibrate. Tutto questo compare anche in quest’ultimo testo, ma appare meno originale e più di routine che non in passato, dando l’impressione di un lavoro che s’incammina con troppa tranquillità su binari tracciati in precedenza. Come dire, che siamo in presenza di un film poco originale e pregevole più per consumata maestria che non per invenzione.
