L’idea della sceneggiatrice Rossella Drudi, moglie del regista, era più che buona: cercare di far capire il disagio delle periferie, la stessa problematica che aveva messo a ferro e fuoco, nel 2014, quella di Tor Vergata a Roma. Ottime le intenzioni ma, purtroppo, un esito artistico sconfortante con uno script debole che vorrebbe dire troppo sia sui rapporti tra gli amici protagonisti sia sui loro problemi esistenziali, il tutto senza dimenticare i dissapori familiari e la delinquenza che prolifera ovunque.
Non solo, si parla di carcere, delle persone che escono e continuano a vivere di malavita, disposte a tutto – forse anche a morire – per avere una possibilità di cambiare esistenza, né mancano fascismo, razzismo e quant’altro. La grande rabbia cerca di sintetizzare tutto questo in meno di novanta minuti creando confusione e poca comprensibilità anche nei dialoghi. Realizzato tra mille difficoltà con un budget inesistente e autofinanziato, con l’utilizzo del bianco e nero per rendere ogni cosa più drammatica per compattare immagini documentaristiche ad altre di fiction, il film è interessante ma anche molto deludente. La scelta di raccontare un giorno importante di due persone amiche, e non solo, avrebbe avuto migliore riuscita se si fossero curati di più i dialoghi e se, nella scelta degli interpreti, si fossero stati ingaggiati per i ruoli principali attori di un certo spessore. Invece, Ydalia Suarez (solo un piccolo ruolo in un mediocre horror diretto da Bruno Mattei del 2003: Nella Terra dei Cannibali, girato nelle Filippine) è assolutamente incapace di leggere il dialogo a lei riservato, figuriamoci a fornire spessore al personaggio dell’infermiera. Mentre Maurizio Matteo Merli, figlio dell’interprete negli anni ’70 di tanti decorosi B Movie, non è meglio di lei e, come il debuttante Miguel Gobbo Diaz, non riesce mai ad essere credibile. Con buona probabilità, non è soltanto colpa loro ma anche della regia e della sceneggiatura. In ruoli minori, sicuramente per amicizia, appaiono buoni attori quali Giulio Base, Flavio Bucci, Gianluca Petrazzi e Vincenzo Peluso. Le musiche sono di Pino Donaggio ma più importanti figurano i brani scritti e spesso interpretati da Tommaso Piotta Zanello. Dirige Claudio Fragasso che da sempre – nelle vesti di regista – tenta anche la via dell’impegno come Palermo Milano solo andata (1995), Milano Palermo - Il ritorno (2007) e Le ultime 56 ore (2010). Qui non riesce a creare qualcosa di interessante. Forse, per migliorare la qualità dei suoi film dovrebbe decidersi ad utilizzare assieme alla moglie qualche sceneggiatore che gli fornisse testi meglio confezionati.
