La foresta dei sogni (The Sea of Trees - Il mare di alberi) dell’americano Gus Van Sant, presentato al Festival di Cannes dello scorso anno, era un’opera molto attesa e che ha deluso in parte i fan di questo autore che sembra aver abbandonato la strada impervia e scabrosa segnata da opere come Elephant (2003) o Milk (2008).
Qui il filo conduttore è quello del romanticismo e del sentimento sconfinante nel sentimentalismo. Uno scienziato americano, travolto dal dolore per la morte della moglie vittima di un incidente d’auto dopo essere sopravvissuta a una pericolosa operazione al cervello, decide suicidarsi nella foresta giapponese di Aokigahara, alle pendici del monte Fuji (ma il film è stato girato in gran parte nel bosco di Worcester, in Massachusetts, negli Stati Uniti), luogo che Google definisce il miglior posto per morire. Arrivato a Tokyo con un biglietto di sola andata, il vedovo si fa portare in quella foresta dove vuole suicidarsi ingerendo la fatidica manciata di pillole. Ha appena iniziato a svuotare il flacone quando incontra un giapponese, anche lui sull’orlo del suicidio per essere stato declassato sul lavoro. Entrambi si avviano - fra ostacoli, cadute, intemperie varie – sui sentieri che attraversano la foresta. E’ l’occasione per l’americano di ripensare al rapporto con la moglie defunta e riconsiderare ogni giudizio e scelta. Ad un certo punto il giapponese non riesce più ad andare avanti e l’altro lo lascia per cercare soccorsi. Quando lo trova finisce in ospedale e chiede subito notizie del compagno di cui nessuno sa nulla e che i soccorritori non hanno trovato. Rimessosi dalle ferite ritorna nel mare di alberi e ritrova il punto in cui ha lasciato il compagno di sventura, solo che lì non c’è nessuna traccia umana, ma solo un’orchidea selvatica sbocciata dalla roccia. Ritornato negli Stati Uniti scopre che il nome e cognome che il giapponese gli aveva dato in realtà significano Giallo e Inverno, il colore e la stagione preferita dalla moglie defunta. In altre parole nulla scompare definitivamente, tutto resta con altra forma per cui anche la morte è solo una tappa nel divenire del mondo. Filosofia un po’ generica venata di una non piccola componente romantica per un film ben girato, ma sostanzialmente banale.