La corte, in originale L’hermine (L’ermellino) del francese Christian Vincent ha consentito a Fabrice Luchini di ottenere il riconoscimento per la migliore interpretazione maschile all’ultima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Nella stessa manifestazione al film è stato assegnato il premio quale migliore sceneggiatura.
E’ un testo classico, impostato in maniera tradizionale, perfetto nella scelta dei tempi e personaggi. Xavier Racine è presidente di Corte d’Assise di Saint Omer, una cittadina dalla parti di Calais nel nord - ovest della Francia, è un uomo chiuso, metodico, orgoglioso del suo grado, attento al rispetto dei ruoli e delle procedure. Un giorno deve giudicare un giovane disoccupato, un uomo marginale al limite del sottoproletariato, che ha denunciato la morte della sua bimba di 7 mesi e ha finito per confessare di averla uccisa lui, a calci, dopo averla rinchiusa in un ripostiglio perché non ne sopportava più il pianto. La formazione della giuria che, secondo la procedura rimarrà in carica per tutti i processi che si terranno durante un certo periodo, porta in aula, come giurata, anche una dottoressa d’origine danese. E' la stessa che ha curato, anni addietro, il magistrato quando ha avuto bisogno di un ricovero a seguito di un grave incidente. Da quell’occasione il presidente ha covato una vera passione per la donna e, ora che ha appena divorziato dalla moglie, sente rinascere quel sentimento e ha finalmente il coraggio di esprimerlo all’amata. Il film diventa così il quadro di due storie d’amore: quella dell’imputato che, alla fine, sarà assolto lasciando nello spettatore il sospetto che si sia assunto ogni colpa per salvare la moglie e quella del magistrato che lo sta giudicando. Fabrice Luchini dà del giudice una dimensione simenoniana scavando a fondo in un personaggio complesso quanto solitario. La sua capacità di mescolare damma e ironia (si veda l’episodio in cui scopre che la figlia dell’amata ha filmato parte del processo, cosa vietatissima) conferisce al film uno spessore maestoso che lo qualifica come opera d’impianto classico, ma di grande forza emotiva.