Ne La corrispondenza Giuseppe Tornatore (1956) racconta un storia d’more bella e terribile. Ed Phoerum è un famoso astrofisico inglese che vive a Glasgow e gira le università di tutto il mondo facendo conferenze e partecipando a seminari, Amy Ryan e una studentessa universitaria fuori corso, ex sua allieva, che vive a Londra e sopravvive facendo la cascatrice in film d’azione.
Si amano a distanza e s’incontrano solo poche volte l’anno, ma si tengono in contatto quotidianamente tramite chat e SMS. Qualche volta riescono a passare un’intera settimana assieme in una casa di un villaggio, il fantomatico Borgo Ventoso, che sembra collocata in una delle Isole Borromee sul Lago Maggiore. Un giorno lei apprende in modo del tutto casuale e inaspettato che l’amato è morto e la famiglia ha dato notizia del decesso solo qualche giorno dopo i funerali. Inaspettatamente il suo computer e la sua posta le riversano, a scadenze regolari ma imprevedibili, una lunga serie di messaggi e di video quasi che lui fosse sempre in vita. Inseguendo questa traccia elettronica la donna scopre che l’uomo sapeva da mesi di essere affetto da un tumore al cervello che lo avrebbe portato alla tomba. Il film gioca le sue carte migliori su questa alternanza di speranze, delusioni e sulla costruzione di un percorso esistenziale che sfocia, passo dopo passo, nell’elaborazione del lutto e in una ripresa (forse) della vita di relazione. E’ una storia in cui rifulge sia la maestria professionale del regista, sia la perizia del direttore della fotografia (Fabio Zamarion), sia la bravura di Olga Kurylenko che dimostra, senza ombra di dubbio, di essere un’attrice vera e non un semplice abbellimento del decoro. In altre parole è un film forse vecchia maniera, ma solido e ben costruito. Una di quelle opere che riconciliano con la voglia di andare al cinema.