Abe Lucas è un professore di filosofia con alle spalle una serie di impegni sociali della cui utilità ora dubita seriamente. Ha anche la testa piena di massime dei grandi pensatori - Immanuel Kant (1724 – 1804), Søren Kierkegaard (1813 – 1855), Jean-Paul Sartre (1905 – 1980) – che gli causano un vero e proprio stato di paralisi, anche sessuale.
Quando approda in un’università di provincia, preceduto dalla fama di donnaiolo e alcolizzato, la sua condizione si aggrava e diventa particolarmente tragica quando gli si offrono una matura insegnante di chimica e una giovane allieva, la migliore del suo corso. Uscirà dalla crisi compiendo il classico crimine gratuito di dostoevskiana memoria (Fëdor Dostoevskij [1821 – 1881], Delitto e Castigo [Prestuplenie i nakazanie, 1866]). Avvelenerà un giudice che ha scoperto casualmente essere ingiusto e antifemminista. Delitto chiama delitto e, scoperto dalla giovane amante, tenterà di ucciderla finendo vittima del suo stesso marchingegno. Con Irrational Man Woody Allen ritorna al filone che gli è meno congeniale, quello ispirato ai cineasti pessimisti a lui cari, primo fra tutti Ingmar Bergman, e alla constatazione (speranza?) che il delitto non paga. Abbandonate sia le riflessioni ironiche sulla vita di oggi, sia le incursioni colte nel passato più o meno recente, questo regista sfoggia un eccesso di cultura, meglio di conoscenza che sfiora il citazionismo. Certo, la confezione è precisa, la direzione degli attori perfetta, ma manca al film quel guizzo d’originalità che ci ha sempre fatto amare questo cineasta ben oltre l’apprezzamento di critici e spettatori.