I film a mosaico non sono di facile costruzione, sia per la ricchezza dei personaggi, sia per struttura del maccanismo narrativo che, solitamente, prevede il confluire, nel finale, delle varie storie raccontate. 11 donne a Parigi - dell’attrice e regista francese, qui alle prese con il lungometraggio d’esordio - Audrey Dana racconta di un gruppo di parigine che ruota attorno a una maison de lingerie e a una di babysitter, nonché alla vicende sentimentali di una conduttrice di autobus.
Undici storie intrise di amore, malinconia, disturbi psicosomatici, tradimenti, solitudine, rapporti difficili fra manager e assistente e via elencando. Tutto questo termina in una sorta di balletto in cui, in maniera decisamente surrettizia, di ritrovano tutte le protagoniste per dare vita ad una danza che sfrutta la suggestiva scenografia di Place de la Concorde. Dovrebbe essere un mosaico della condizione e dei problemi femminili, lavorativi e sociali, in Francia, ma la frammentazione delle storie rovina qualsiasi discorso complessivo. Ne risulta un film frammentario con le undici attrici ingaggiate, fra cui alcuni fra i nomi più importanti dello schermo transalpino, che vanno ciascuna a in una sua direzione, più preoccupate di farsi spazio che non di contribuite alla riuscita del film. Per non parlare dello sguardo, più maschilista che femminista, con cui sono tracciati i vari caratteri con una battuta dei dialoghi che ben sintetizza questo approccio difficilmente condivisibile: tutte le donne sono le puttane di qualcuno.