E’ molto più difficile fare un buon film comico che uno drammatico, lo sanno tutti quelli che si mettono dietro una macchina da presa o che studiano il cinema. Per riuscire nell’impresa, infatti, cooccorrono sia un ritmo preciso, sia situazioni e battute davvero originali.
Purtroppo Leonardo Pieraccioni non possiede nessuna di queste doti per cui, dopo il promettente esordio con I laureati (1995) ha inanellato una decina di titoli, Il professor Cenerentolo à l’ultimo, in cui la prevedibilità fa a gara con la noia. Questa volta il discorso ruota su un ingegnere economicamente spiantato che decide di tentare un furto in banca assieme a due complici, reato che finisce miseramente quando un muro che doveva essere di mezzo metro si dimostra di soli venti centimetri per cui le micro cariche esplosive hanno un effetto ben più devastante del previsto. Condannato a tre anni di carcere e incarcerato nella prigione di Ventotene, descritta come una sorta di luogo paradisiaco simile ad una località caraibica, aspetta lo scorrere dei giorni in regime di semilibertà prestando servizio nella biblioteca comunale e alternando quest’impegno con quello di regista di documentari sulla vita del carcere. Tutto questo è interrotto dall’arrivo di una statuaria bellezza incaricata dall’amministrazione municipale di insegnare nuove danze agli isolani. Il galeotto s’innamora di lei e ne seguono situazioni che dovrebbero coinvolgere e sorprendere lo spettatore ma che risultano, invece, del tutto prevedibili. Ne nasce un film noioso oltre ogni limite e prevedibile in maniera imbarazzante. Caratteristiche aggravate da un cast in cui gli attori, ad iniziare dallo stesso regista, sembrano convinti che sia sufficiente metterci la faccia per assolvere agli obblighi artistici previsti dal contratto.