Spectre è il ventitreesimo titolo della serie James Bond tratta dai quattordici romanzi dello scrittore e militare Jan Fleming (1908 –1964). Come vari di precedenti film anche questo ha in comune con il romanziere inglese solo il personaggio principale, tutto il resto, storia compresa, è frutto della mente degli sceneggiatori Neal Purvis, Robert Wade, John Logan e Jez Butterworth.
Il meccanismo su cui si sviluppa l’intera serie ha la centro le meraviglie tecnologiche, per la verità qui meno clamorose di quelle immaginate nei precedenti capitoli, e il ritmo mozzafiato dell’azione. Questa volta lo scontro arriva all’interno degli stessi servizi segreti britannici al cui vertice il super cattivo che comanda la Spectre è riuscito a piazzare un suo seguace. Per il vero il confronto avviene, più sottilmente, fra giovani rampanti e anziani saggi con un piccolo colpo di scena che ci rivela come il grande delinquente sia in realtà il fratellastro del super agente. Questo insieme di snodi induce il regista e produttore inglese Sam Mendez, alla guida di un James Bond per la seconda volta dopo Skyfall (2012), a spruzzare il film di note legate allo scorrere degli anni. Non a caso alla fine 007 non s’mvola con la bellona di turno, ma s’allontana assieme alla donna con cui, presumibilmente, metterà su famiglia e trascorrerà un pensione meritata e dorata. Tutto il resto è immerso, come il solito, in uno scoppiettare di effetti speciali che hanno come sfondo le grandi città europee (Roma, Londra, Vienna) o quelle, assai più folcloristiche, dell’America centrale (Mexico) o dell’Africa. In altre parole un bel giocattolone, rumoroso e scoppiettante quanto dovuto.