Al secondo lungometraggio, Guendalina Zampagni evidenzia l’esperienza che ha maturato come assistente alla regia: tempi perfetti, costruzione narrativa più che valida. Come base di questo interessante film ha utilizzato la sceneggiatura da lei scritta e giunta finalista al premio Solinas. Noi siamo Francesco racconta con serenità e senza inutili toni melodrammatici la maturazione di un ragazzo che desidera essere uguale agli altri in tutto.
E’ uno studente universitario che vive in Puglia, che sarebbe difficilmente considerato diverso dagli altri se non che è privo delle braccia. Il suo amico del cuore lo aiuta a sentirsi normale, estroverso e invadente, lo provoca e lo stimola a non trascurare i segnali di simpatia che riceve da alcune ragazze alle lezioni. Il problema della prima volta lo stressa rendendolo ancora più simile a tanti altri suoi coetanei. E’ al centro dei problemi della chimica dell’amore che deve affrontare tenendo presente consigli antitetici; l’amico lo invita ad far fronte a tutto con spavalderia, mentre la madre lo consiglia di utilizzare assoluta cautela. Un incontro con una compagna di studi gli farà superare il problema con naturalezza. Il tema della disabilità per di più reso ancora più drammatico dal fatto che si parla di un giovane che vorrebbe conquistare la normalità, è difficile da affrontare anche per autori con maggiore esperienza di Guendalina Zampagna, al secondo film dopo l’interessante Quell’estate (2008) interpretato dal bravissimo Alessandro Haber e da Pamela Villoresi. La cifra narrativa scelta è quella di avere un certo distacco dalla situazione di handicap affrontata con spavalderia e un tono ironico, mai con termini pietistici. Ha optato per una soluzione narrativa tra realismo e commedia, calibrando con cura diversi registri, ma restando sempre un passo più avanti, dentro un umorismo teso e un po’ amaro. Tutto girato tra Conversano e Monopoli, il racconto vive delle atmosfere e dei sapori di un forte lessico dialettale e trova logico sviluppo all’interno di situazioni che coinvolgono l’esuberanza giovanile della provincia. Tra sapori vintage e feste raccontate come esperienze che solo fuori dalle metropoli si possono ancora fare, il gruppo degli amici scavalca gli imbarazzi della disabilità dimostrando che nessuno deve sentirsi escluso. Gli esperti Elena Sofia Ricci nel ruolo della madre, Paolo Sassanelli suo capo e Luigi Diberti, lo psicanalista, supportano con bravura la prova dei più giovani, quasi tutti esordienti che provengono da scuole di teatro. Mauro Racanati è il protagonista, ma forse il più bravo è Gabriele Granito nel ruolo dell’amico fidato: una recitazione fatta di sguardi intensi, di sorrisi, di tristezza, di piccole pazzie, di malinconia. Film a bassissimo budget, dimostra che se ci sono idee, e capacità per metterle in atto, la confezione di lusso è la cosa meno importante. Anzi, in un opera come questa potrebbe rappresentare un danno.