Il racconto dei racconti di Matteo Garrone era un film particolarmente atteso. Un’opera in cui il regista fa sfoggio delle sua qualità pittoriche raccontando e intrecciando tre storie delle cinquanta contenute ne Lo cunto de li cunti ovvero lo trattenemiento de peccerille (Il racconto dei racconti ovvero il divertimento dei piccini) scritte in napoletano dal nobile Giambattista Basile (1570 – 1632).
Il volume è stato pubblicato postumo fra il 1634 e il 1636 e risente dell’influenza di Giovanni Boccaccio (1313 – 1375]) e del suo Decameron (1348-1353). Fra i molti racconti il regista ne ha scelto tre. Si inizia con la storia della regina che vuole diventare madre ad ogni costo per cui, seguendo i vaticini di un santone, spinge il marito a calarsi in fondo al mare per uccidere un mostro il cui cuore dovrà essere cotto, ancora pulsante, da una vergine e mangiato dalla sovrana. Il monarca muore nell’impresa e la cuciniera rimane incinta come la regina. Entrambe daranno alla luce due figli albini dall’aspetto identico, destinati a diventare amici inseparabili e simili al punto che la stessa sovrana li scambierà l’uno per l’altro. La seconda storia ha al centro un altro monarca affascinato dalla pulce che ha addestrato al punto di nutrirla con cibi succulenti che la trasformano in essere dalle dimensioni di un bue. Quando il mostruoso insetto muore il monarca mette in palio la mano della figlia fra quanti riusciranno a riconoscere a che animale appartiene la pelle esposta nella sala del trono. Vince un orco mostruoso che ottiene in premio la principessa e la relega nell’antro in cui vive fra ossa dispolpate e sporcizia. L’infelice troverà la forza di ribellersi, tentare la fuga, uccidere lo sgradito consorte e far ritorno a corte in pompa magna. La terza favola ha al centro un altro monarca che, irretito dalla voce celestiale di una donna che ha sentito cantare ma non visto, decide di farla sua sposa. Purtroppo la cantante è una vecchia rugosa e decadente che diventerà nuovamente giovane, per un tempo limitato, grazie a un sortilegio. Sua sorella, ugualmente decrepita, si rode d’invidia e arriva a farsi scorticare viva nella speranza di ritornare anche lei giovane. Il film è segnato da un formidabile gusto pittorico (il regista alterna all’attività filmica quella figurativa) e contraddice in parte il precedenti a sua firma, fra i quali ricordiamo almeno L’imbalsamatore (2002), Primo amore (2004) e Gomorra (2008). Questa volta non ci sono riferimenti sociali, né diretti né di scorcio, e la stessa descrizione psicologica è superata dal gusto per l’immagine e il piacere del racconto. Due caratteristiche che soddisfano pienamente anche lo spettatore più esigente.