Kokia abita in una vecchia casa, sopra la sua autofficina, entrambi gli edifici si affacciano su un panorama meraviglioso del Mare di Barents, nel nord della Russia. La sua proprietà fa gola al sindaco della città, un politicante senza scrupoli ammanigliato con la chiesa ortodossa e in combutta con un’importante azienda, che vuole costruire su quel terreno un grande edificio. Cerca di comperarlo, ma dopo il rifiuto del proprietario, lo fa confiscare per presunte ragioni di pubblica utilità.
Ne nasce un processo in cui lo spossessato è rappresentato da un abile avvocato arrivato da Mosca, ma nonostante questa difesa il processo è perso. L’ex – proprietario non si arrende e ricorre in appello, mente il legale presenta al politicante un dossier con notizie molto gravi sul suo operato. A questo punto il sindaco decide di passare alle vecchie maniere, vale a dire intimidazioni e botte. Il suicidio della moglie del cocciuto oppositore, dopo una fuggevole relazione con l’avvocato, offre al traffichino il pretesto per levarsi di torno definitivamente il nemico che subisce una condanna a quindici anni di prigione con l’accusa, priva di qualsiasi prova, di aver ammazzato la moglie. Le ultime immagini ci mostrano le ruspe che distruggono la casa contesa frantumando oggetti d’uso e libri. Leviathan (Leviatano) del russo Andrey Zvyagintsev disegna uno dei tanti ritratti della Russia dei nostri giorni, con il suo carico di corruzione, illegalità, violenza. Il titolo cita il mostro marino evocato nella Bibbia come immagine del caos primordiale e il film giustifica il riferimento con le immagini dello scheletro di un grande pesce andato a morire sulla spiaggia su cui si affaccia il terreno conteso. La parte melodrammatica – la relazione fra la moglie e l’avvocato – non si salda del tutto con il resto del racconto che acquista forza nei momenti in cui disvela le trame del potere, le complicità fra politici e religiosi, il clima d’impotenza, disperazione e alcolismo diffuso che segna la vita della gente comune del tutto incapace ad apporsi a soperchierie e illegalità. E’ un testo pessimista e realista ad un tempo che si fa facilmente perdonare qualche eccesso di panorami cartolineschi. Per la cronaca il film non è piacito all’entourage di Vladimir Putin (1952), i cui ritratti fanno bella mostra nell’ufficio del sindaco, che hanno ostacolato con ogni mezzo la circolazione del film in patria.