Riccardo Rossi, doppiatore, attore e gastronomo, debutta alla regia con un film non certo perfetto ma sicuramente interessante. E’ un’opera amata da questo cineasta che vi interviene anche come attore e sceneggiatore.La prima volta (di mia figlia) racconta con grande semplicità e sincerità una storia solo apparentemente banale che riesce a riportare la commedia italiana ai ritmi rilassanti dei suoi anni d’oro rifiutando la moda che l’ha trasformata in una cosa sempre più schizofrenica e a suggerirne il ritorno a poche, essenziali pietre angolari.
Qui siamo di fronte ad un prodotto molto gradevole, pensato da cinquantenni per un pubblico adulto ed in cui il divertimento è proprio nel vedere l’inadeguatezza di chi dovrebbe essere un faro nella vita dei figli. Racconta del dramma di questo medico della mutua, dalla vita fin troppo monotona, incapace di accettare il semplice fatto che la figlia quindicenne possa avere pulsioni sessuali, che possa divenire grande. E’ separato da dieci anni, la ex moglie è troppo impegnata e moderna per dare peso a un normale sviluppo ormonale. Tutto accade perché, senza malizia, lui apre il diario della ragazza e scopre che ha scadenzato per il giorno dopo la perdita della verginità. Approfittando del suo compleanno appena passato, decide di invitare la ragazza e una sua amica dottoressa ad una cena in locale chic: la sua speranza è che possa essere dissuasa dal cercare di entrare nel mondo dei grandi. Ben presto la serata prende una piega differente e non voluta a causa degli interventi del marito della dottoressa, del il racconto di lei e della sua prima volta, per l’arrivo di una psicologa casualmente nel ristorante che si siede al loro tavolo. Involontariamente, tutti parlano troppo bene di quella emozione per non convincerla a provarla al più presto. Davvero riuscita la trovata finale che dimostra quanto possa essere sbagliato interferire troppo nella vita dei propri figli. Oggi, il mondo della commedia italiana vuole spesso trasformarsi in contenitore di argomenti troppo impegnativi con varianti demenziali, finto-satiriche, scollacciate, sboccate o ammiccanti a registri e modi del cabaret televisivo. Questo cineasta, invece, con quell'aria un po' trasandata e fuori moda preferisce il racconto classico in cui lui come attore si mette a disposizione del personaggio senza caricarlo di inutili istrionismi.