Foxcatcher (letteralmente: Cacciatori di volpi) di Bennet Miller parte dalla cronaca per raccontare il drammatico rapporto fra il miliardario ipernazionalista John du Pont e il lottatore David Schultz. Il secondo ha vinto la medaglia d’oro della specialità alle olimpiadi di Los Angeles del 1984 e ha allenato il fratello Mark che ha gareggiato in quelle di Seoul del 1988.
Il ricco rampollo di una della famiglie più in vista degli Stati Uniti – industria chimica e forniture militari – nel 1996 uccise l’atleta con alcuni colpi di pistola. E’ una vicenda oscura su cui hanno avuto un peso determinante sia i complessi rapporti fra il ricco industriale e i due fratelli atleti. Il primo soffriva di un forte senso d’inferiorità nei confronti della madre che adorava i cavalli di razza e aborriva la lotta, sport adorato dal figlio. Il centro del discorso è sul potere del denaro e sull’illusione che qualsiasi cosa sia in vendita e il suo possesso possa lenire ogni ferita psicologica. Il film svela i retroscena di un mondo, quello sportivo rivolto ai Giochi Olimpici, non molto noto e che riserva non poche sorprese. E’ un ottimo esempio di cinema di documentazione civile e psicologica che porta la firma di un regista con alle spalle un interessante opera sullo sport (L’arte di vincere - Moneyball, 2002) e, soprattutto, una bella biografia dello scrittore Truman Capote (Truman Capote - A sangue freddo – Capote, 2005). Tuttavia, escludendo l’interesse per un dramma di cui non si ha grande memoria e le vicende di uno sport su cui solo le competizioni olimpiche accendono i riflettori, non si va oltre il quadro piscologico (madre – figlio, figlio – amico) già abbondantemente indagato e non solo dal cinema.