Richard Leonard Kuklinski (1935 – 2006) è stato un uno dei più feroci asassini a pagamento statunitensi di tutti i tempi. Ha spesso prestato i suoi servizi alla mafia italo -americana ed era noto per la ferocia con cui eseguiva i contratti che gli erano proposti a cui adempieva ricorrendo, a seconda dei casi, alle armi da fuoco, allo strangolamento, ai coltelli o al veleno.
Si meritò il soprannome di Iceman (L'uomo di ghiaccio) quando uno dei cadaveri a lui riconducibili fu ritrovato dopo che era stato conservato in un freezer per ben due anni allo scopo di impedire ai collaboratori scientifici della polizia di trovare elementi uniti a stabilire la data del decesso. Non si è mai saputo quante persone abbia ucciso e gli inquirenti che stimano la cifra vari fra i quaranta e i cento. La singolarità di questo assassino è che, fuori dal lavoro, condusse una vita esemplare, da buon padre di famiglia e acuto uomo d’affari. Era inevitabile che una personalità tanto complessa attirasse l’attenzione di studiosi e scrittori, fra i primi sono da ricordare Ola Karlström e Sick Slacker che lo intervistarono in carcere e l’autobiografia che gli ha dedicato Anthony Bruno nel 1993: The Iceman: The True Story of a Cold - Blooded Killer (L’uomo di ghiaccio. La vera storia di un assassino a sangue freddo). Il regista israeliano Ariel Vromen (1973) è partito da questi materiali per realizzare The Iceman, il suo terzo lungometraggio. E’ un classico film biografico che percorre la vita del personaggio da capobanda di un gruppo di ragazzini specializzati nelle rapine ai supermarket e nei furti con scasso, sino all’arresto e alla condanna a sei ergastoli nel 1987. Il lato più singolare del personaggio, che la regia indaga solo parzialmente, è il contrasto fra l’attività criminale e l’immagine privata di buon padre di famiglia e attento uomo d’affari. Su questo terreno c’era molto da scavare, ma il cineasta lo fa solo di striscio lasciando curiosità e conclusioni allo spettatore.