Walter Stanley Keane (1915 – 2000) era considerato, sino al 1970, il pittore – mercante che aveva fatto una grande fortuna con i quadri che raffiguravano bambine e bambini dagli occhi enormi. In quell’anno una corte federale delle Hawaii sancì, in un processo intentatogli dalla ex moglie Margaret (1927), che lui non aveva dipinto una sola tela ma che tutte le opere presentate a suo nome erano state fatte dalla moglie.
Ne seguì un lungo periodo di contrasti in cui il supposto artista continuò a proclamarsi autore unico di quei quadri. In Big Eyes Tim Burton ripercorre questa storia immergendola nel clima solare della California, sottraendola alle ambientazioni notturne e gotiche che segnano i suoi film precedenti. Ne deriva un testo che si stenta ad attribuire all’autore di Edward mani di forbice (Edward Scissorhands, 1990), La fabbrica di cioccolato (Charlie and the Chocolate, 2005) e Alice in Wonderland (2010), solo per citare alcuni punti cardine della sua filmografia. Qui il taglio è quello del miglior cinema hollywoodiano, quasi che il regista avesse delegato ai grandi occhi dei bambini dipinti ogni componente fantastica. E’ un film di grande spessore professionale, ma di limitata originalità creativa. Un’opera gustosa e apprezzabile dalla prima all’ultima inquadratura, ma decisamente normale, anche se collocabile ai massimi livelli di questa categoria. Persino le performance degli attori, Christoph Waltz in primo piano, appaiono poco controllate e decisamente inclini al gigionismo. Come dire un prodotto d’alta cucina cinematografica, ma tutt’altro che un manicaretto unico e sorprendente.