Gabriele Salvatores ha sempre avuto una passione per la scoperta del mistero nella realtà quotidiana. A ben guardare persino il film con cui ha ottenuto il premio Oscar (Mediterraneo, 1991) conteneva vari elementi di recupero di momenti strani da una realtà assunta, tutto sommato, in maniera realistica.
Ne Il ragazzo invisibile il regista riprende la strada imboccata con Nirvana (1997), vale a dire un percorso in cui gli elementi fantastici fanno premio su quelli realistici. Michele è un adolescente che vive a Trieste con quella che crede essere sua madre, una funzionaria di polizia zelante e comprensiva. In realtà il ragazzo è stato adottato dalla donna dopo che qualcuno lo ha lasciato, ancora infante, sulla sua porta di casa. Questo è successo perché il giovane è stato contaminato dalle radiazioni atomiche scatenate in Russia da una tragedia nucleare capitata per caso. Ora lui possiede poteri soprannaturali, il più importante dei quali è quello di diventare invisibile, dote che fa gola una pattuglia di cattivissimi che vogliono mettere assieme un esercito di persone dotate di superpoteri. La cosa fallisce per l’intervento del padre naturale del giovane che, alleato alla madre adottiva del ragazzo, distrugge il manipolo di malvagi. Una catarsi che, tuttavia, lascia aperta la strada a futuri sviluppi, caso mai il film ottenesse un buon successo. Se la prima parte della storia offre buoni elementi narrativi e una struttura tutto sommato originale, quando, nel seguito, la regia s’impegna nel fornire un briciolo di realismo alla storia è l’intero film che naufraga nella peggiore imitazione dei grandi film hollywoodiani di fantascienza. Come dire che il regista non ha avuto il coraggio di sviluppare sino in fondo un discorso coerente e originale.