Il cinema iraniano, dopo i grandi exploit degli anni post rivoluzionari (seconda Nouvelle Vogue) che hanno fatto conoscere autori come Abbas Kiarostami [Dov'è la casa del mio amico? (Khane-ye doust kodjast?, 1987) Sotto gli ulivi (Zire derakhatan zeyton, 1994), Il sapore della ciliegia (Tam-e gilas, 1997), Il vento ci porterà via (Bad ma ra khahad bord, 1999)], Mohsen Makhmalbaf [Pane e fiore (Nun va Goldoon, 1996), Il silenzio (Sokout; 1998)] e Jafar Panahi [Il palloncino bianco (Badkonake Sefid, 1995), Lo specchio (Ayneh, 1997), Il cerchio (Dayereh, 2000)], cineasti oggi costretti al silenzio o all’esilio, sta riprendendo vita con alcuni titoli apparentemente minimalisti, in realtà intrisi del profondo malessere che serpeggia fra i ceti colti di una società incatenata alle ferree norme clericali volute dagli ayatollah che governano il paese.
Melbourne, opera prima del trentaquatrenne Nima Javidi, appartiene a questo filone e racconta una storia apparentemente minima in realtà densa di riferimenti sociali e politici. Il film segue alcune ore nella vita di una coppia che sta per lasciare Teheran per trasferirsi - ufficialmente per continuare gli studi, forse per sempre - nella grande città australiana. Stanno smontando casa e preparando i bagagli, quando capita un dramma che potrebbe compromettere tutto: una neonata affidata loro da un vicino che ha promesso di ritornare a prenderla prima della loro partenza, muore improvvisamente e inspiegabilmente durante il sonno. Panico da parte della coppia, andirivieni - fra il tragico e il comico - di vari personaggi (il rigattiere venuto a ritirare le cose rimaste, il padre della piccina in lite con la moglie, il padrone di casa arrivato per prendere le chiavi dell’appartamento, una vicina gentile) a cui i due riescono a celare la piccola salma. La soluzione arriverà in zona Cesarini con l’affidamento del corpicino alla dirimpettaia, convinta che l’infanta dorma. Poche ore di terrore con la paura che il viaggio sia compromesso e in cui esplodono le sottili contraddizioni che serpeggiano nel rapporto di coppia, emerge la mestizia della madre lasciata sola, fanno capolino le intrusioni, forse amicali, nel privato di esseri umani che hanno tutto da perdere dal rapporto con il mondo che li circonda. In questo quadro la speranza del viaggio assume un valore di particolare forza e lascia intravvedere una via di fuga che non libera solo da rapporti personali assillanti, ma che sintetizza un clima oppressivo più generale.