Lo sciacallo – Nightcrawler segna l’esordio dietro la macchina da presa dello sceneggiatore Dan Gilroy [The Bourne Legacy (2012) diretto da suo fratello Tony, Real Steel (2011) regia di Shawn Levy]. E’ la storia dell’ascesa, come imprenditore, di un ladro di metalli che si ricicla come operatore free lance di immagini cruente di incidenti stradali, sparatorie, disgrazie varie.
Materiali particolarmente ambiti dalle televisioni che li propinano di prima mattina ai telespettatori nel corso di telegiornali le cui dominanti sono il sangue e il dolore. Munito di uno scanner che capta le frequenze della polizia e di una piccola telecamera, ottenuti scambiandoli con una lussuosa bicicletta che ha rubato, corre tutta la notte dietro ambulanze e autopattuglie, registrando immagini di morti e feriti che vende alla produttrice di una TV locale. Lentamente si fa un nome per la qualità del materiale che offre ed è preso in una corsa all’orrido che lo spinge sino a spostare cadaveri per ottenere migliori inquadrature e sabotare l’auto di un concorrente che aveva osato offrigli un lavoro come dipendente. Non basta. Quando, per una fortuita circostanza, arriva nella villa in cui è stata appena compiuta una strage, non si trattiene dal firmare la scena del delitto prima ancora dell’arrivo della polizia. Vende il materiale tagliando le immagini degli assassini che escono dall’edificio, sicuro che sarà lui a fare un altro scoop firmandone l’arresto dopo averli segnalati alle forze dell’ordine. Ne nasce uno scontro a fuoco in cui è colpito a morte il suo collaboratore, un poveraccio che lo seguiva per pochi spiccioli, e lui aggiunge orrore ad orrore filmandone la morte. Ora è diventato un vero imprenditore che gestisce due auto e quattro dipendenti che percorrono la notte alla ricerca di altre sequenze si morte. Sembrerebbe uno dei tanti film d’azione che il cinema hollywoodiano ci propina periodicamente, se non fosse possibile intravvedere in controluce e, soprattutto nel finale, un quadro lucido e impietoso del sogno americano trasformato in metafora selvaggia della corsa al profitto. Come dire un L'asso nella manica (Ace in the Hole, 1951) di Billy Wilder non solo tecnologicamente aggiornato, ma anche più forte e crudele.