Presentato in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma 2013 nella sezione Alice nella Città, il film diretto da Vittorio Moroni ha interessato anche se non è stato accolto da unanimi consensi. Questo è un regista non prolifico ma che ha saputo realizzare titoli di buon interesse quali Le Ferie di Licu (2006) e Tu devi essere il lupo (2004). Nato nel campo dei cortometraggi li reputa un’ottima palestra per chiunque voglia dedicarsi seriamente al cinema.
Se chiudi gli occhi non sono più qui parla di un sedicenne con una forte passione per l'astronomia, trasmessagli dal padre, morto in un incidente stradale. Il giovane vive con la madre filippina e il suo nuovo compagno, un caporale malavitoso che sfrutta i clandestini come manodopera. A scuola è stato bocciato due volte e ha un pessimo rapporto col patrigno che lo obbliga a fare il manovale. C’è un solo posto dove per lui è possibile sognare, sentirsi un ragazzo felice: un vecchio bus abbandonato in una discarica che il ragazzo ha trasformato nel suo rifugio segreto. Quando il giovane incontra un insegnante in pensione che gli dice di essere vecchio amico del padre e di volerlo aiutare nello studio, lui è convinto che la sua esistenza avrà un deciso miglioramento, ma l’uomo è mosso da doppi fini che ben presto non potrà o non vorrà nascondere. Il film si interroga su temi difficili ed impegnativi quali la solitudine dell'uomo di fronte all'universo, e forse questo è fuori le possibilità del regista. Temi quali l'integrazione degli adolescenti nati da matrimoni misti o lo sfruttamento dell'immigrazione clandestina, l'importanza della cultura o l’incapacità della scuola di essere maestra di vita, la violenza morale o la schiavitù fisica sono argomenti che richiedono, oltreché sensibilità, grande capacità narrativa. Dopo la presentazione al Festival il film è stato ridotto di alcuni minuti, rendendo più fluida la narrazione. E’ un testo che ha molti pregi, anche se non sempre riesce a convincere. A tratti la sceneggiatura sembra compiaciuta della sua bellezza formale, mettendo in evidenza la dotta preparazione culturale del cineasta valtellinese e del suo co-sceneggiatore Marco Piccarreda. Questa scelta di curare fin troppo la forma, riduce quasi a zero la possibilità di provare vere emozioni. Il debuttante Mark Manaloto rende credibile il suo personaggio di ragazzo problematico con gesti ed espressioni equilibrate interpretando e vivendo dall’interno la difficile psicologia del suo personaggio. Bravo e molto professionale l’amico del padre reso quasi perfettamente da Giorgio Colangeli. Beppe Fiorello è convincente quale patrigno senza cuore o, meglio, incapace di dimostrargli affetto, di avvicinarsi a lui come un padre. Ambientato nel nord est, è un film con vari difetti ma da vedere non fosse altro per quanto tratta ed è raccontato con dignità e naturalezza.