Fratelli Unici di Alessio Maria Federici ha due difetti tipici delle opere realizzate per conto di una qualche emittente televisiva, qui Rai che coproduce e distribuisce. Il primo dato è stilistico: gran parte del film è costruito su primi e primissimi piani, una forma espressiva più a misura di piccolo schermo che non di sala cinematografica.
Il secondo inciampo è una sceneggiatura prevedibile e buonista che costringe gli interpreti, in particolare Raoul Bova e Luca Argentero già di loro non grandissimi attori, a fornire prestazioni al limite del sopportabile, convinti come sono che basti la loro bella presenza a giustificare personaggi e storia. Con questo piombo nelle ali il film non poteva andare oltre un’aurea mediocrità, anche se la storia offriva vari spunti, non originalissimi, ma neppure banali. Pietro e Francesco sono fratelli, ma non potrebbero essere più diversi. Il primo è un chirurgo affermato che ha sacrificato gli affetti alla carriera, il secondo un eterno bambinone che campa malamente passando da un amorazzo ad un altro. Quando il medico perde la memoria causa un incidente d’auto l’altro accetta di diventarne il tutore giuridico, soprattutto per poter attingere liberamente al patrimonio dello smemorato. Dopo varie vincenduole tutti i santi finiscono in gloria con il chirurgo che si riconcilia con moglie e figlia, la prima sottratta in zona Cesarini a un matrimonio infausto, mentre lo sciupafemmine mette la testa a posto accasandosi con la bella vicina di casa che lo ha sempre amato in segreto. E’ una commediola da pochi soldi, pensata più per il palinsesto televisivo che per la sala pubblica.