Party Girl del terzetto Marie Amachoukeli, Claire Berger e Samuel Theis, ha fatto parte della sezione Un Certain Regard dell’ultimo Festival di Cannes dove ha vinto il premio per la migliore opera prima. E’ il raffinato ritratto di un’attempata entraineuse che, a sessant’anni suonati, riceve una proposta di matrimonio da un ex – minatore.
Accetta dopo molte titubanze e dopo aver incontrato i quattro figli che ha avuto da compagni diversi (uno dei padri non è neppure certo) che hanno fatto una loro vita e una è stata persino adottata da un’altra famiglia. Siamo in una zona di confine fra Francia e Germania, un terreno vago segnato da localini di striptease in cui si esibiscono donne, spesso sfatte o extracomunitarie, che hanno il compito di far consumare ai clienti bottiglie di pseudo champagne. Angelica è una di queste semi prostitute, termine che lei aborrisce e rigetta con forza, quasi che il nome mutasse la sostanza della cose. In ogni caso l’attrazione verso la vita apparentemente festaiola del locale ha la meglio sul vincolo matrimoniale assunto come simbolo di tranquillità e perbenismo. Il film finisce con la protagonista che, la sera stessa delle nozze, si rimette in strada per ritornare al night in cui ha speso quasi tutta la sua vita. Il film è segnato da non poca ambiguità (chi fa un certo mestiere non ha alcuna possibilità di cambiare?) e da un taglio pericolosamente in bilico fra il documentario e il melodramma. Il discorso sul conflitto fra vita ordinata ed esistenza irregolare offriva non pochi motivi d’interesse che la regia sfrutta in modo molto parziale approdano a un risultato appena oltre la sufficienza.