Daniele Ciprì racconta una storia di emarginazione con uno stile da commedia anni ’60 che può suonare sia come omaggio che come mancanza di idée. Il limite è impercettibile e nel pur bel film del regista siciliano a volte è difficile decidere per l’una o l’altra opzione. La cittadina di provincia in cui passa solo una corriera costruita negli anni cinquanta o prima, i personaggi strani che la animano, l’improbabilità di alcune situazioni e di molti personaggi sono come ulteriori firme poste su La Buca da quello che era considerato, in coppia con Franco Maresco, uno dei più originali autori del cinema e della televisione di nicchia in Italia. La costruzione dei caratteri è attenta, le figure così disegnate potevano essere create da Cesare Zavattini ma non sempre la sceneggiatura riesce a rendere gradevoli ed interessante quanto a loro viene messo in bocca.
Sergio Castellitto tratteggia con un pizzico di grottesco un avvocato fallito che sopravvive organizzando piccole truffe in cui coinvolge finti invalidi; forse inizialmente credeva nella missione di uomo di giustizia ma ora cerca soltanto di tirare a campare. Ha come unica amica, forse anche sua ex, la barista Valeria Bruni Tedeschi che lo aiuta a sentirsi meno solo. Nel locale giunge Rocco Papaleo, rilasciato dopo ventisette anni passati in carcere per un reato che non ha commesso, assieme ad un bastardino che lo segue forse perché in lui ha visto un simile da consolare. Qui i tre personaggi si incontrano ed iniziano una storia assieme in cui la donna è elemento stabilizzatore tra due uomini provati dalla vita. Castellitto finge di essere morso dal cane, chiede tremila euro a Papaleo il quale racconta la sua triste storia che convince l’avvocato a chiedere la revisione del processo e chiedere un forte indennizzo. In un lungo dibattimento in tribunale l’avvocaticchio utilizza i trucchetti di sempre ma recupera anche un po’ d’orgoglio professionale, tanto da snocciolare un’arringa convincente. Peccato che il giudice voglia fare tutto in fretta per non perdere i mondiali di calcio in televisione. Bello ma non entusiasmante, melanconico al punto giusto, il film dà l’impressione di essere condizionato da una sceneggiatura che toglie spazio alla creatività.
