Luc Besson ha sempre guardato con particolare interesse sia al cinema amaricano d’azione [Nikita (1990), Cose nostre - Malavita (The Family, 2013)] sia alle figure femminili inserite in contesti forti [Il quinto elemento (Le cinquième élément, 1997), Giovanna d'Arco (The Messenger: The Story of Joan of Arc, 1999)].
In Lucy mette assieme queste sue passioni raccontando la storia di una studentessa occidentale ventiquattrenne che vive a Taipei il cui ragazzo la obbliga a consegnare una valigetta a un mafioso sudcoreano che la trasforma in corriere della droga facendole inserire nello stomaco un sacchetto di una nuova sostanza chimica da trasportare in occidente. A seguito di varie vicende il contenitore si rompe e la sostanza entra in circolo nel corpo causandole un prodigioso aumento dell’utilizzo delle capacità del cervello. Ne nasce una storia punteggiata di sparatorie, vorticosi inseguimenti in auto, pestaggi e scontri mirabolanti. Un quadro che pesca a piene mani nel cinema d’azione, ma non trascura gli occhieggiamenti filosofeggianti a capolavori della fantascienza morale come 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, 1968) di Stanley Kubrick (1928 – 1999), solo che l’amalgama fra i vari materiali non funziona e le riflessioni esistenziali hanno la consistenza delle frasi stampate sulla carta dei cioccolatini. In altre parole un film sostanzialmente presuntuoso e passabilmente sgangherato.