James DeMonaco, sceneggiatore di buon livello che con il suo secondo film da regista La notte del giudizio (The Purge, in italiano Lo sfogo, 2013) ha firmato un buon successo, crea un sequel e ottiene un ottimo riscontro sia dalla critica che dal pubblico. In un cinema che non ha più spazio per produzioni di serie B sostituite in parte da lavori televisivi, è piacevole scoprire che un autore intelligente riesca a ricreare le semplici magie di un microcosmo in cui sono nati autori importanti, in cui capitava di vedere emergere idee veramente nuove con prodotti a basso budget.
L'exploit del film precedente poggiava su un perfetto lavoro di scrittura, nato dalla rielaborazione dello script da lui utilizzato per il suo esordio alla regia, Assault on Precinct 13 (Assalto alla zona 13, 2005). Il risultato al botteghino ha convinto i produttori ad affidare a questo regista questa seconda parte della notte del terrore. Cambia totalmente il cast, fatto ovvio se si considera la fine fatta dai precedenti personaggi, con Frank Grillo chiamato a sostituire Ethan Hawke nel ruolo del protagonista carismatico. Il risultato finale è molto convincente con l’azione che abbandona l’interno della lussuosa villa del primo capitolo per trasferirsi nelle vie piene di vita di una metropoli. Siamo nel 2023, a Los Angeles, esattamente un anno dopo La notte del giudizio, manca pochissimo al bagno di sangue voluto dal governo dei Nuovi Padri Fondatori per scaricare la società delle proprie pulsioni violente. Per dodici ore, dalla sera alla mattina, piena licenza di uccidere, un modo per decimare la popolazione meno abbiente, come denuncia un attivista afroamericano. Il regista punta su un gruppo di diseredati, tra cui un uomo tradito dalla giustizia, una cameriera latina, sua figlia, due giovani esponenti dell'agonizzante classe media, e sulla loro capacità di sopravvivere in una notte di ordinaria follia orchestrata da ricconi senza morale e privi di scrupoli. Grazie a questa struttura di facile lettura il film acquista una compattezza che il precedente non aveva ma perde in eleganza. Un conto è portare l'anarchia all'interno di una famiglia alto borghese (quella di Ethan Hawke ne La notte del giudizio), un altro organizzarla secondo lo schema ricco contro povero. Nel primo caso ogni cosa faceva parte del cocktail che univa ingredienti antitetici tra loro con le ipocrisie del capitalismo, nel secondo è tutto più schematico perché ci è detto esplicitamente chi è il nemico e per chi parteggiare. Nonostante questo la commistione tra ossessione della violenza e intrattenimento resta pericolosamente ambigua. Dove questa seconda parte vince sulla precedente è nel ritmo e nella carica adrenalinica: il regista abbandona ansie domestiche e claustrofobia monocorde, lavorando sugli spazi aperti con esiti decisamente più vivaci. Riuscita anche la miscela che unisce l'horror, il western, l'action, il thriller e il melò. Finale aperto con una chiara intenzione di realizzare una terza, e non conclusiva, puntata.
