Dopo la presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia dello scorso anno, nella sezione Giornate degli Autori e il premio FIPRESCI assegnatogli a Valladolid durante il SEMINCI, La ricostruzione (La reconstrucción, 2013) arriva sui nostri schermi. E’ un dramma minimalista argentino firmato da Juan Taratuto, ben noto per le sue commedie romantiche di persone nevrotiche che vivono in città affollate quali No sos vos, soy yo (Non sei tu, sono io, 2004), ¿Quién dice que es fácil? (Chi dice che è facile? 2007) e Un novio para mi mujer (Un fidanzato per mia moglie, 2008).
Qui cambia il modo di indagare studiando più a fondo il delicato rapporto tra le persone in difficoltà. Ambientato nella inospitale Patagonia, l'intero film ruota intorno a Eduardo, un lavoratore efficiente nel settore petrolifero che ha rinunciato alla sua vita forse perché non in grado di affrontare il figlio che vive a Buenos Aires. E’ un uomo solitario, silenzioso, scontroso ed enigmatico che abbandona la sua routine quando l’amico Mario gli chiede di andare a Ushuaia per seguire il suo negozio di souvenir mentre lui è ricoverato in ospedale. Eduardo rimane isolato all'interno della famiglia di Mario e resta dopo la morte improvvisa del suo amico, ma abbandona la sua apparente freddezza per divenire il protettore della fragile vedova e delle due figlie adolescenti. Come suggerisce il titolo, il film segue il processo di ricostruzione interiore di un uomo che si ritrova costretto a lasciare il proprio dolore legato alla perdita della moglie e condividere il dolore degli altri. Basato su una narrazione rigorosa, il regista evita di giudicare i suoi personaggi. Rappresenta - soprattutto attraverso lunghe inquadrature - la loro routine quotidiana, inclusi i dettagli significativi delle loro interazioni. La motivazione del premio FIPRESCI è stata un ritratto realistico di una persona che riscopre la compassione a Ushuaia, città alla fine del mondo, dove nessuno è che ciò che sembra essere. Il regista ha ambientato questo dramma al freddo nel paesaggio selvaggio della Tierra de Fuego non lontano dal Polo Sud. Evitando momenti lirici, il film descrive l'immensità e l'ostilità di questa regione remota che sembra incarnare i concetti stessi di solitudine e disperazione. Anche le forti emozioni sono solo sottilmente accennate. Il distacco consente al regista di evitare la caduta nel melodramma a buon mercato. L’interpretazione di Diego Peretti, uno degli attori preferiti dal regista, contribuisce a coinvolgere l'empatia dello spettatore. Un dramma semplice, un film da ricordare per la notevole forza emotiva che porta sullo schermo.
