Presentato nella sezione Orizzonti dell’ultima Mostra di Venezia 2013 il lungometraggio del ultracinquantenne Alessandro Rossetto racconta una storia impegnativa, un ritratto il nero della nostra provincia ma i risultati non sempre gli danno ragione. Documentarista di buon livello, ha cercato di fare un film di denuncia in cui l’improvising fiction coinvolgesse gli interpreti ma, così facendo, non è riuscito a dare totale consistenza al film che presenta un senso di disagio non a quello che si vede ma a una costruzione poco convincente del racconto.
Piccola patria racconta di due ragazze che vivono in una cittadina senz’anima del Veneto e a cui l’esistenza va stretta. L’intrigo che ordiscono per uscire dal grigiore gli si ritorce contro, così come l’amoralità vista come unico tramite verso una vita (apparentemente) migliore. Il dramma si consuma dentro i confini confusi di un paesaggio indistinguibile e in una quotidianità progressivamente decadente e svuotata di ogni valore culturale, raccontata attraverso anonimi shopping center e alberghi per congressi in cui le due amiche accettano ogni compromesso pur di abbandonare una vita mediocre. Ambedue lavorano in quel hotel simbolo dell’anonimo lusso, una per arrotondare si prostituisce e convince l’altra a farle da complice in un ricatto verso un cliente con sorella ricca. Riprendono un rapporto sessuale della ragazza più ingenua col fidanzato, congresso carnale che l’uomo ha spiato, e gli chiedono ventimila euro per non svelare la sua perversità. Questa l’idea iniziale, vissuta soprattutto attraverso improbabili scene di nudi femminili e maschili piuttosto che nel racconto di un disagio sociale. Non manca l’immigrato albanese che lavora umilmente in stalla e che è fidanzato della ragazza più semplice, il compatriota che si arrangia con operazioni illecite il tutto immerso in un Veneto razzista ed indipendentista che si arma per controbattere gli stranieri che hanno invaso la loro Terra. E questa è la parte meno riuscita del film con una xenofobia mai giustificata da quanto accade ma che pesa come un inutile fardello su tutto il resto. Il padre della ragazza, che accetta di concedersi ma senza tradire l’amore per il suo ragazzo, è quantomeno poco convincente. Va al poligono, spara con rabbia e al suo fianco ha l’uomo che vedrà sua figlia fare all’amore. Razzista, fallito nella vita sia come imprenditore che genitore o marito, si sa da subito che sarà lui a fare qualcosa di sbagliato. Attori debuttanti o poco noti, sono volutamente lasciati liberi da una regia che in questa maniera tenterebbe di fare un opera di fiction con una stile da docufilm. Il risultato premia ben poco queste generose intenzioni.