L’attore e regista Giulio Base si avvicina al romanzo di Piero Chiara con scarsa raffinatezza, trasformandolo in un prodotto paragonabile ai peggiori Pierino ma reso accettabile dalla recitazione. L’esperienza televisiva della regia di circa cinquanta episodi della serie Don Matteo non gli è servita a trovare una chiave di lettura meno volgare, vuota e la capacità di dirigere con attenzione gli interpreti.
Non pensiamo ad altri titoli tratti dai suoi romanzi quali Venga a prendere il caffè da noi (1970) di Alberto Lattuada Il piatto piange (1974) di Paolo Nuzzi, La banca di Monate (1974) di Francesco Massaro, La stanza del vescovo (1977) di Dino Risi, Il cappotto di Astrakan (1979) di Marco Vicario o il successivo film di Alberto Lattuada Una spina nel cuore (1986); qui si raccontano più gli amorazzi de Il Pretore che non la psicologia di una provincia resa bene soltanto grazie alle buone immagini firmate da Fabio Zamarion. Lo scrittore luinese aveva pubblicato il suo romanzo nel 1973 ed ora, in un cinema sempre più privo di vere idee, a quarant’anni di distanza viene utilizzato come base per una commedia non riuscita. Il regista dedica tutta la prima parte a farci conoscere l’ars amandi secondo questo magistrato, cita ma non fa vivere le varie vicende tipiche della provincia, secondo Piero Chiara. E’ impegnato a rendere credibile lo sfondo di Luino anni trenta con utilizzo di macchine d’epoca, begli scorci del lago ma anche qui vi sono scene che potevano essere girate meglio evitando, ad esempio, di utilizzare il marciapiede del lungolago quale strada, probabilmente per evitare di fare vedere immagini troppo moderne. Ma il peggio lo si ha nelle inquadrature di auto in movimento apparente con immagini che rotolano alle loro spalle, fatte in maniera non molto professionale. La storia è semplice: un Pretore di provincia usa il peso della sua carica per concupire molte belle signore e per ottenere vari privilegi. La moglie sa e diviene anoressica fino a quando il marito non assume un giovane avvocato che si prende cura non solo della Pretura. Chi di corna ferisce, di corna perisce. Francesco Pannofino, pur costretto all’interno di un personaggio troppo grottesco, è bravo come sempre. Piacevole la luinese Sarah Maestri, anche produttrice, che dona melanconia ma anche senso di rivalsa alla moglie del fedifrago ripagandolo con gli interessi. Massimiliano Cavallari, tragicamente privo del suo compagno di avventure artistiche Bruno Arena nella oppia dei Fichi d’India, è il costruttore difeso dal Pretore tornato ad essere avvocato: ha un volto melanconico ma dimostra di avere buona espressività. Giulio Base è in sintonia con Piero Chiara solo nel finale, dove riesce ad entrare nell’ottica e nello spirito dello scrittore raccontando la decadenza del Pretore, la sua consapevolezza di essere l’unico sconfitto.