Il trentanovenne padovano Giuseppe Ferlito, dopo una lunga carriera di aiuto e assistente alla regia, debutta dietro alla macchina da presa raccontando una vicenda apparentemente importante ma che è trattata in maniera epidermica, confusa, piena di luoghi comuni. Presto farà giorno è un’occasione mancata per occuparsi con serietà di temi quali la tossicodipendenza, qui raccontata da chi, probabilmente, si è documentato poco, per approfondire i problemi dell’adolescenza, uniti a rapporti genitoriali visti come in mille filmetti, per parlare dell’amicizia che porta a scelte sbagliate, narrata come in un telefilm tedesco.
Tutti i personaggi sono deludenti, alcune delle triste macchiette incapaci di rendere seppure minimamente quanto scritto nella asfittica sceneggiatura. La ragazza che vive con la madre in carriera, senza padre, con un fidanzato più grande di lei, innamoratissimo ma privo di una vera moralità. Si alternano le scene in cui la giovane è ricoverata in clinica privata dopo un collasso dovuto all’uso di stupefacenti, con quelle in cui il ragazzo decide di entrare nel grande giro della droga per comperare il nido d’amore (!!) in cui crearsi una famiglia. Il direttore della struttura è amico della madre ed è assolutamente poco credibile, come del resto i pazienti afflitti da patologie diverse. Tra questi c’è Nina, una donna che ha sempre voluto bene al padre ed è divenuta anoressica. A chi dovesse interessare, diciamo che questa donna raffigura per la protagonista la figura della madre; ma anche questa è un’occasione perduta perché, a parte la magrezza interpretata da Matilde Piana, nulla funziona nella costruzione del personaggio. Il film è stato girato in cinque settimane ma ci sono voluti oltre due anni perché fosse pronto ad uscire nei cinema, dura novanta minuti scarsi e sembra lungo un’eternità. Più che un’opera prima, appare come un film di mestiere fatto per doveri contrattuali da un regista stanco e annoiato. Lo sceneggiatore Giuseppe Ferlito dimostra che non tutti sono in grado di fare i narratori e, soprattutto, che, agli inizi, è meglio farsi affiancare da persone esperte soprattutto nella scrittura di un film. Francamente non vogliamo infierire sugli attori perché è difficile capire quanto sia da ascrivere a loro eventuali incapacità interpretative o alla povertà registica. Sicuramente è difficile trovare personaggi tanto stereotipati e fasulli come in questo film dove tutto è sconsolatamente prevedibile compreso tradimenti di amici, ambiguità di personaggi, l’amoralità dell’infermiere. Non solo, i malavitosi hanno facce da cattivissimi e uccidono a sangue freddo davanti a due giovani che poco conoscono, la madre della ragazza capisce i suoi errori e si commuove, il giovane finisce in carcere e si redime, la ragazza matura e diviene una brava figlia. Non siamo di fronte ad una telenovela venezuelana ma ad una produzione dove collabora Rai Cinema e che ha ottenuto il supporto finanziario del MIBACT e della Regione Lazio.