La leggenda dei quarantasette ronin (samurai caduti in miseria dopo aver perduto il loro signore) fa parte delle tradizioni giapponesi ed è stata tramandata nei secoli rispettando il senso dell’onore, la forza di persone che si annullano nell’intento di riuscire in imprese impossibili. Ad essa si sono ispirati anche vari film il più noto dei quali è quello del 1994 diretto da Kon Ichikawa. Attraverso queste storie si è conosciuta la vera tradizione dei samurai, guerrieri che consideravano il massimo onore morire per il proprio padrone.
Questo film statunitense, costato centosettantacinque milioni di dollari, utilizza anche interpreti nipponici ma nulla ha saputo o voluto trasfondere di quel racconto di tragiche gesta. Incredibilmente, la regia è stata affidata al debuttante Carl Rinsch che si occupa unicamente di gestire i dozzinali e costosi effetti speciali in un incredibile crescendo di luoghi comuni, di citazioni qualunquiste tipiche dei modi in cui, ad Hollywood, considerano i giapponesi. Qualche cosa di simile agli stereotipi appiccicati agli italiani, visti come cuori contenti che cantano felici. Non basta inserire una bella scena del teatro kabuki, durante le nozze del cattivo con la principessa triste, per dire che stiamo parlando del Giappone, il resto è tutto in chiaro stampo hollywoodiano. 47 Ronin racconta di come un mezzosangue diventi prezioso alleato dei samurai senza padrone, di come gli venga concesso di suicidarsi come se fosse uno di loro, del suo amore verso la principessa ricambiato ma impossibile da condividere, della sua forza donatagli da popolo magico che vive nella foresta e da cui è fuggito quando era adolescente. Peccato che il personaggio sia bellamente inventato con lo scopo di rendere più digeribile la vicenda molto lontana dalla cultura occidentale tentando di mediare tra il ghiottissimo mercato asiatico e quello occidentale scontentando, ovviamente, entrambi. La consigliera del signore della guerra che si trasforma in bianca volpe ma anche in terribile bestia assassina, gli spiriti dei morti ammazzati o dei bimbi non voluti che volteggiano senza pace nel bosco e tanto altro è raccontato con le tecniche un action fantasy senza ritmo, freddo e retorico, e con un finale ai limiti dell'apologia senza mai tentare di trasformare il tutto in una fiaba in cui si possa sognare. Inutile dire che i quarantasette ronin, protagonisti del mito, sono relegati in un angolo come contorno per la vicenda dove il deprimente Keanu Reeves dona la sua scarsa credibilità ad un personaggio che esprime il massimo quando combatte a torso nudo come un indemoniato. Del sacrificio dei samurai per onorare il loro padrone costretto al suicidio rituale dal perfido signore della guerra poco o nulla.