Ferzan Özpetek è uno sceneggiatore, regista e romanziere d’origine turca, è nato a Istanbul nel 1959, naturalizzato italiano (è arrivato a Roma come studente nel 1976) e diventato uno dei maggiori cineasti del nostro paese. Nel suo cinema la morte ha sempre un ruolo importante, unita e contrapposta a un vitalismo che porta a superare ogni lutto.
Già nel film d’esordio (Il bagno turco,1997) tutto nasce dalla scomparsa di Anita che lascia al nipote un hamam (bagno turco) ad Istanbul. Il filo rosso ritorna in Le fate ignoranti (2001) ove l’intera storia è innescata dalla morte improvvisa di un borghese benestante causa un incidente stradale. Anche in La finestra di fronte (2003) l’asse del film ruota attorno al rimorso di Davide Veroli, omosessuale ed ebreo, costretto a scegliere, nel 1943, fa la salvezza della sua gente e quella dell’amato Simone. Ne La mine vaganti (2009), poi, il finale stesso coincide con il funerale dell’anziana nonna, un evento luttuoso che segna la riconciliazione dell’intero gruppo familiare. Il tema della morte ritorna anche in questo Allacciate le cinture sotto forma dell’irrompere di una malattia terribile nell’esistenza di una giovane donna legata carnalmente ad un uomo volgare e razzista, ma amante prestante. La prima metà del film è dedicata ad una relazione in cui i sensi dominano sull’intelletto e l’erotismo la fa da padrone sulla ragione. Nella seconda l’opera prende quota e, con la scoperta del cancro al seno che ha colpito la protagonista, si trasforma in un formidabile anelito alla vita, immagine di un vitalismo animale ben più forte di qualsiasi imperativo sociale o morale. Un sentimento che intreccia mirabilmente gioia e dolore, confronto con la grande falciatrice e voglia di vivere. E’ proprio questa parte che dà al film uno spessore straordinario che lo segnala come opera da non perdere.