Hannah Arendt (1906 – 1975) è stata una storica e scrittrice tedesca di origini ebraiche, naturalizzata statunitense. Divenne famosa per gli articoli da lei scritti a proposito del processo al criminale nazista Adolf Eichmann (1906 – 1962) pubblicati sul settimanale New Yorker, poi trasferiti nel libro La banalità del male - Eichmann a Gerusalemme (Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil 1963).
Margarethe von Trotta ha dedicato a questa studiosa un film che ricorda alcuni momenti della sua vita in Germania, ivi compreso l’amore segreto con il filosofo filonazista Martin Heidegger (1889 – 1976), ma focalizza il discorso sulle sue prese di posizione attorno alla figura del criminale rapito dal Mossad in Argentina, dove si era rifugiato dopo la guerra, e ricondotto in Israele per essere processato e condannato a morte. La studiosa sostenne che la figura del gerarca hitleriano e la sua carriera dimostravano come il male non nascesse da grandi perversioni, ma dalla banalità della vita di tutti i giorni, una volta che ne fossero sradicati principi e valori morali. Non dunque, per dirla con Bertolt Brecht, grandi criminali, ma piccoli uomini privi di coscienza. Questa posizione che, in qualche misura rendeva banali anche i grandi delitti, suscitò molte polemiche, soprattutto fra la comunità ebraica. La regista ricostruisce questi eventi in un film preciso, ma privo di grandi aperture stilistiche, una biografia corretta, ma non del tutto coinvolgente per il pubblico odierno. E’ un peccando perché, oggi più che mai, ci sarebbe bisognò di andare a fondo sulle origini del male, quasi sempre generato proprio dalla banalità del vivere quotidiano.
