In C’era una volta a New York (The Immigrant) James Gray racconta la triste storia di una giovane polacca attivata nel 1921 negli Stati Uniti con la sorella. Le due donne sono bloccate dai servizi d’immigrazione, una perché ammalata di tubercolosi, l’altra per essere stata etichetta durante il viaggio come prostituta.
In realtà si era data a e membri dell’equipaggio solo per avere di che mangiare. Anche a New York le cose non le vanno bene, visto che a salvarla dal rimpatrio è una sorta di impresario teatrale, in realtà una sorta di magnaccia che gestisce un giro di prostituzione in cui impiega le attrici che scrittura e ha importanti contatti nel giro di doganieri e poliziotti. Nonostante le sue remore morali, la donna accetta di vendersi con l’obiettivo di raccogliere i soldi necessari ad evitare alla sorella il rimpatrio forzato. Le cose sembrano migliorare quando lei attira l’attenzione di un illusionista, cugino del suo protettore, che le promette una vita migliore in California. L’offerta dell’artista irrita il protettore che, nel frattempo, si è innamorato di lei. Finale all’insegna del sangue, con scontro fra i due, uccisione del mago e decisione del prosseneta di salvare l’inferma e costituirsi. E’ un melodramma dagli esiti abbastanza prevedibili, spesso esposto con toni, d’immagine e narrativi, decisamente sopra le righe. Molta professionalità, ma pochi elementi di vera novità.