Rocco Papaleo (1958) è un attore e regista non banale. Ci se ne era accorti sin dal suo film d’esordio: Basilicata coast to coast (2010). Un primo elemento importante nel suo cinema è rintracciabile nel rapporto con la musica e lo si nota anche in questa sua seconda fatica, Una piccola impresa meridionale. Questo non solo per l’utilizzo intelligente a continuo di temi e argomenti musicali, ma anche e soprattutto per la scelta di costruire l’intero film come un susseguirsi di brani ritmati attorno a un unico filo conduttore.
Nella nuova opera, tratta da un libro dello stesso regista e liberamente ispirata all’omonimo spettacolo di teatro-canzone (stagione 2011-2012) scritto insieme a Valter Lupo, questo filo rosso lo offre la figura di un prete spretato – ha rinunciato alla tonaca per l’amore i una donna che lo ha lasciato non appena è ritornato allo stato laicale – che ritorna, povero e solitario, al paesino fra Basilicata e Puglia (in realtà il film è stato girato in Sardegna) in cui vive sua madre. Non appena la genitrice viene a sapere della sua rinuncia allo stato sacerdotale, lo scaccia costringendolo ad andare a vivere in un faro in disuso. Qui lo raggiungono, in momenti diversi, alcuni parenti in crisi e bisognosi di conforto. C’è il cognato lasciato dalla moglie per un’altra donna, che altro non è se non l’immigrata che fa le pulizie in casa della madre dell’ex – prete, c’è la sorella del nuovo amore dell’ex – moglie prostituta ritiratasi dalla professione con un gruzzolo cospicuo, c’è un gruppo di ex circensi trasformatisi in edili – la loro impresa dà il titolo al film - arrivati al faro per rimetterlo in sesto e trasformarlo in albergo. Una varia umanità che, come accadeva a Padre Carlo Mascolo (Carlo Verdone) in Io, loro e Lara (2011), cerca conforto e giustificazioni morali da chi ne avrebbe bisogno più di loro. In altre parole il regista rovescia il giudizio negativo passandolo dalle spalle dello spretato a quelle di quanti pretendono da lui ciò che non può dare. Un altro elemento interessante lo offre il finale, ove la decisione dell’ex religioso di imbastire, nel quadro dell’inaugurazione dell’albergo - faro, una sorta di matrimonio fra le due omossessuali, scatena le ire dei benpensanti che, guidati dal parroco, abbandonano la festa. Una perorazione a favore degli irregolari che getta una piacevole venatura di tolleranza in un film il cui unico difetto è nei troppi paesaggi cartolineschi che costellano la storia in omaggio alla sponsorizzazione isolana.