In Anni felici Daniele Lucchetti riannoda due fili che gli stanno particolarmente a cuore: i ricordi autobiografici e il discorso sui rapporti familiari. Il film è ambientato nel 1974, quando il regista aveva quattordici anni, qualcuno in meno di quanti ne sono attribuiti al giovane protagonista. E’ la storia dei due figli di una coppia abbastanza stravagante.
Lui e un artista che si è innamorato dell’arte delle performances e vorrebbe affermarsi nel mondo della creazione artistica, anche senza averne né la forza né l’inventiva necessarie. La moglie vive dell’ombra adorante del marito che, da parte sua, non si priva di avventure erotiche con modelle e donne varie. I due figli, uno dei quali appassionato di cinema e con la cinepresa otto millimetri sempre in mano, seguono in diretta litigi, furiose riconciliazioni e nuove rotture. Tutto questo sino alla rottura definitiva quando la donna scopre l’amore di un’altra durante un campeggio femminista in terra si Francia. A quel punto la separazione è inevitabile anche se, come ricorda il regista con voce off, i due continueranno a incontrarsi saltuariamente. Il film abbonda di primi e primissimi piani, per buona parte in omaggio alla produzione televisiva su cui si regge, ma anche quale segno stilistico di una vicenda che vuole essere una sorta di ritratto di due solitudini irrequiete colte in un momento di profonde trasformazioni sociali e di costume (referendum sulla legge del divorzio del 12 maggio 1974 in primo luogo). In questo modo il film diventa il quadro di una relazione di coppia turbolenta non meno dei tempi che attraversa. In definitiva un buon film, più psicologico che socialmente motivato, ma pur sempre un’opera di ampio respiro.
