Una canzone per Marion, commedia britannica coprodotta con i tedeschi, è l’ennesima vicenda strappalacrime che ormai da tempo sembra essere molto gradita ai produttori di tutto il mondo. Anziani innamorati e con la moglie malata come in Amour (2012) Michael Haneke, marito protettivo, donna destinata a morire per commuovere gli spettatori. La costruzione narrativa è semplice, prevedibile, incapace di creare vere emozioni, spesso fin troppo retorica. Donna anziana, amante della vita, è innamoratissima, ricambiata, da un marito che è eternamente negativo verso il mondo che lo circonda.
Poiché è malata terminale ormai senza forze, il marito le vieta di cantare in un coro di anziani ma, quando ottiene successo e poi muore, la sostituisce in quel gruppo che impara a conoscere, a rispettare dapprima in memoria della moglie, poi per la inconscia voglia di sopravvivere al lutto. La storia potrebbe sembrare inserirsi nel ricco filone dei malati di tumore, ma tenta di staccarsi da questo sottogenere melodrammatico puntando molto sulla trasformazione del uomo da orso a tenero agnello in grado di aiutare tutti. Il regista Paul Andrew Williams, di cui questo è il primo film distribuito in Italia, sceglie facili scorciatoie che non permettono una effettiva partecipazione a questo evento positivo ma che forniscono solo una presa d’atto di quello che succede sullo schermo. Vanessa Redgrave, fino a quando è in scena, col suo dolcissimo sorriso trasfonde un po’ vigore alla banale sceneggiatura, raccontando con l’usuale bravura il personaggio a lei affidato. Terence Stamp, perfettamente nella parte, è lasciato troppo solo per riuscire a sopportare il peso del film sulle sue spalle. Canta in maniera più che accettabile, è sempre ripreso coi capelli scompigliati e la barba sfatta per fornire maggiore autenticità al suo dramma, ma è nella sua capacità di dire mille cose con un silenzio il meglio della sua interpretazione. Williams, anche unico sceneggiatore, si è impegnato nel creare un minimo di spessore solo a questi due personaggi lasciando ai comprimari poche briciole di interesse. C’è l’insegnante del coro, una monocorde e troppo sorridente Gemma Arterton, che si limita ad apparire sperando, così, anche di esistere. Christopher Eccleston è il poco credibile figlio amato ma non gratificato dal padre che è deluso del poco successo nel lavoro e nella vita che ha avuto: a lui si richiede un viso eternamente corrucciato, la presenza al funerale della madre, alle tristi cene, alle esibizioni canore dei genitori a cui ovviamente partecipa emozionato. Padre single, quantomeno della madre nulla si sa, di una bimba sorridente e inespressiva, nulla aggiunge alla storia. In blocco, deprimente il gruppo degli anziani eternamente felici e positivi anche di fronte a malori che affliggono alcuni di loro, alle malattie varie, col senso della morte che si avvicina. Detto questo, comunque il film mantiene quello che promette, tanta commozione ottenuta con facili luoghi comuni: potrebbe piacere ad un pubblico femminile.