La grande scommessa di Salvatore Mereu, qui al suo terzo lungometraggio (Bellas Mariposas, Belle farfalle in sardo), è vinta a mani basse. Prende il complesso racconto scritto da Sergio Atzeni e lo traduce in uno dei più bei film italiani degli ultimi tempi. Con una storia difficile in cui cadute di ritmo e di gusto sono sempre possibili, ci racconta della periferia degradata di Cagliari, di una famiglia che vive con due pensioni di invalidità dei genitori ed una miriade di figli: lo spazio temporale è un caldo giorno d’agosto.
Cate è una ragazzina di dodici anni che vive con gioia l’amicizia per la sua coetanea Luna, che accetta serenamente fratelli drogati, un padre erotomane, una sorella prostituta, il bullismo che l’attornia. Coi toni della commedia, con la capacità di non giudicare, Mereu ci dona un film da vedere, discutere, meditare. Quando la ragazza parla di chi l’attornia, li descrive come vergine, drogato, bullo, prostituta, porco e così via, ma queste parole le servono unicamente per fare identificare le caratteristiche degli altri personaggi. E’ una bimba solare che non giudica lasciando agli altri la libertà delle proprie azioni, nota somiglianze o differenze con lei stessa, nulla di più. L’unico momento in cui entra in crisi è quando scopre che uno dei suoi fratelli vuole uccidere un ragazzino goffo per cui lei prova attrazione: è costretta a comportarsi come adulta anche perché deve decidere se denunciare il potenziale assassino ma anche sangue del suo sangue, o lasciare che il destino decida per lei. Splendido il rapporto con la sorella minore che con i suoi dieci anni cerca di ottenere gli stessi diritti della maggiore, che la scimmiotta, che con lei litiga ma che le vuole bene e la considera il suo punto di riferimento. Tutto è basato soprattutto sull’amicizia totale tra lei e la coetanea Luna, nata tre giorni dopo di lei nel palazzo a fianco. Pensano alla stessa maniera, sono grandi mangiatrici di gelati, sorridono accorgendosi che adulti le guardano attratte dalla loro infantile bellezza, vanno al mare e cercano in lunghi bagni quel mondo che unisce buoni con cattivi, ricchi con poveri, dove non si notano differenze ed in cui ci si può sentire padroni del mondo. Rischiano consapevolmente di essere violentate per avere i soldi per i loro gelati e, dopo avere provocato anche un danno fisico all’uomo donando un minimo della loro ingenua sessualità, ridono felici convinte di non avere fatto nulla di male. Seguendola in questo vorticoso giorno d’agosto, il regista ci fa vivere i suoi stati d’animo sempre in continua evoluzione con peregrinazioni mentali e fisiche tipiche di una ragazzina che si sente (e forse inizia ad essere) un’adulta, ci accompagna alla scoperta del microcosmo di un quartiere di frontiera e delle vie di una città con una curiosità sana e mai morbosa, mostrando il brutto e il bello senza moralismi né strizzatine d’occhio allo spettatore. Lei vive con purezza non più ingenua le emozioni e le scoperte di una preadolescente che della vita già sa tutto ma che la sua deve e può ancora costruirla come meglio crede. Il finale, tutto in chiave femminile, riesce a convincere che il marcio lo creano gli uomini e che le donne, sia madri che prostitute, sanno sempre essere più presenti, più decise, più vere, più dolci. Da vedere sperando che tra gli spettatori ci sia anche qualche nostro nuovo regista che si sente autore scimmiottando chi lo ha preceduto.
