Lasse Hallström, dopo i successi hollywoodiani che hanno costretto a più di un compromesso - La mia vita a quattro zampe (Mitt liv som hund, 1985) - torna a dirigere in Svezia trasferendo il best seller di Lars Kepler L’ipnotista. Un buon lavoro bello ma con un ritmo alternante che penalizza l’interesse di chi deve vedere due ore di film per avere certezze di quanto sta succedendo. Jonna Linna è un commissario di polizia che giunge casualmente sulla scena di un duplice delitto dove c’è anche un sopravissuto, il figlio di un insegnante di ginnastica ucciso nel pomeriggio in palestra.
Morti la madre, il padre e la sorellina, si teme per la vita anche della sorella maggiore, sparita nel nulla. Un medico che utilizza anche l’ipnosi aiuterà il poliziotto mettendo però in crisi la sua vita privata. La vicenda non è importante, ma conta com’è sfruttata. Innanzitutto, l’ipnotista opera per pochi minuti e le sue capacità sono messe in mostra con grande correttezza scientifica, senza inutili effetti, con un approccio poco spettacolare, ma sicuramente veritiero. E’ un uomo provato dalla vita che ha perso la fiducia della moglie dopo che lei aveva scoperto che lui la tradiva con una collega dell’ospedale, non possiede serenità in casa anche perché si sente inconsciamente in colpa per l’emofilia che ha colpito il figlio. Quando va al Pronto Soccorso come medico, è giudicato ancora negativamente per un processo di diffamazione in cui era uscito perdente a causa della sua accusa a un paziente che, sotto ipnosi, gli aveva detto di essere un pedofilo. Aiuta il poliziotto perché glie lo chiede l’ex amante, ma si sente in colpa con se stesso, con la moglie di cui tradisce la fiducia e per l’incapacità di scegliere tra la traumatologia e lo studio della psiche. Interpretato da Mikael Persbrandt molto apprezzato ne In un mondo migliore (Hævnen, 2010) di Susanne Bier e ora impegnato negli attesi Lo Hobbit - La desolazione di Smaug (The Hobbit: The Desolation of Smaug, 2013) e Lo Hobbit - Racconto di un ritorno (The Hobbit: There and Back Again, 2014) di Peter Jackson, il personaggio è sempre sottotono, schiacciato da un peso esistenziale troppo gravoso per lui. Sulla regia il discorso è complesso. Il romanzo di partenza di Lars Kepler, nuova stella della letteratura thriller svedese, si riduce a poco più di un pretesto e questo provoca un pesante squilibrio nella vicenda narrata. Crea una distorsione narrativa che a tratti penalizza l’interesse dello spettatore costretto a cercare una coerenza dove volutamente non è stata cercata dal regista. La vicenda del poliziotto single che vive per sentirsi utile, la sua collega dedita al lavoro ma impegnata pesantemente anche sul fronte familiare, il medico e i suoi problemi, la moglie pittrice che vive malamente il rapporto coniugale, la famiglia distrutta dai delitti e in cui si nascondono indicibili segreti, tutte queste storie vivono come entità individuali, a sé stanti e hanno pochi contatti effettivi tra loro. Non una narrazione tradizionale, ma un modo diverso di proporre le parti della vicenda: in questa maniera si chiede assoluta dedizione allo spettatore, ma gli si regala una chiave di lettura quantomeno originale, anche se non sempre priva d’imperfezioni.