Attualmente il cinema francese è fra i più solidi e interessanti del mondo. Lo testimoniano sia alcuni titoli universalmente apprezzati sfornati stagione dopo stagione sia, soprattutto, una produzione media di altissimo livello. La cuoca del presidente, titolo banale inventato dalla distribuzione italiana al posto dell’assai più intrigante Les Saveurs du Palais (I sapori del palazzo), parte da una storia vera per costruite un racconto apparentemente semplice, in realtà irrobustito da sotto – gusti stimolanti e intelligenti.
La storia e quella di Danièle Delpeuch, cuoca della regione del Périgord, arruolata nel 1986 all'Eliseo, grazie ai buoni uffici del ministro della cultura Jack Lang (1939), per soddisfare appetito e gusto di François Mitterrand (1916 – 1996). La cuciniera, che nel film assume il nome di Hortense Laborie, è colta in due momenti. Il presente è quello di una base francese in Antartide ove la donna dirige una mensa per operai e ricercatori. Qui fra un fornello e la preparazione di un piatto ricorda i due anni passati nel palazzo presidenziale quale responsabile della cucina personale del Capo dello Stato. E’ un modo, anche se eccessivamente frammentato, per disegnare un mondo crudele e agguerrito, percorso da lotte intestine – gli addetti alla mensa generale che mal sopportano e ingiuriano la designata a servire il Presidente e i suoi ospiti – preda di gelosie e piccole meschinità. Un universo ove la bontà dei cibi deve fare il conto con grette regole di economicità e burocratismi vari. In questo il film di Christian Vincent, uno di quegli autori solidi e professionalmente inappuntabili che non esistono quasi più nel nostro cinema, disegna un quadro interessante non solo per lo svelamento che fa di ciò che si agita dietro le quinte di una grande istituzione, ma anche per le tensioni e gli atteggiamenti che percorrono un’intera classe politica. E’ un film davvero simpatico e piacevole.