Per costruire The Master (Il maestro) Paul Thomas Anderson, una fra le voci più interessanti del nuovo cinema americano, è partito da un tema segnato da ampie venature farsesche e ne ha tratto un quadro a due voci: quelle di una sorta di leader mistico – religioso e di un marinaio ritornato a casa folle, dopo aver partecipato alla seconda guerra mondiale. Siamo nella prima metà degli anni cinquanta ed entrambi hanno manie precise: il predicatore crede nella rincarnazione e nell’unicità degli spiriti umani conservata nel corso del tempo, l’ex – soldato cede facilmente alla violenza e alle tentazioni sessuali.
Queste due figure s’incontrano, compiono un tratto di strada in comune, si separano per poi ritrovarsi a Londra ove il predicatore ha aperto una nuova scuola. E’ un incontro fra due ossessioni in cui il regista riversa parte dello spirito psicologico e analitico presente in There Will Be Blood (Il petroliere, 2007), ove l’analisi della follia monomaniacale raggiungeva punte altissime. E’ un film di buona costruzione anche se, in alcuni momenti, soffre di derive eccessivamente teatrali, con dialoghi adatti più al palcoscenico che non al grande schermo. Un discorso a parte merita il riferimento - evidente, ma non esclusivo – alla figura di Lafayette Ronald Hubbard (1911 – 1986) autore del volume Dianetics in cui sono esposte le idee che porteranno alla fondazione della setta Scientology. Se molti tratti del ciarlatano – predicatore su cui si incentra il film richiamano la figura del fondatore di quella chiesa, nondimeno il regista appare più interessato alla psicologia dei personaggi che alla storia biografica. Ciò nel senso che i tratti emergenti dalla figure chiave che rimpolpano il racconto riguardano più la solitudine, la follia e l’inquietudine esistenziale che non la citazione cronachistica.