C’è sempre stata una vena surreale nel cinema di Silvio Soldini, ma mai tanto dominante come ne Il comandante e la cicogna. Fra i punti di forza e, diciamolo pure, fra gli interpreti di questo film ci sono i monumenti di Garibaldi, Leopardi, Verdi che parlano attraverso le voci di Pierfrancesco Favino, Gigio Alberti e Neri Marcorè. A Torino s’incrociano le storie della famiglia di Leo Benvenuto, idraulico vedovo da non molto tempo che allevia il dolore per il lutto incontrando in piena notte il fantasma della moglie che gli appare in bikini, la giovane artista Diana, squattrinata inquilina di Amanzio un corpulento e coltissimo filosofo urbano che tenta invano di mettere argine all’inciviltà delle decine di maleducati in cui si imbatte ogni giorno.
Sono della partita anche i due figli del vedovo: l’adolescente Elia – introverso, amante della natura e degli uccelli – e sua sorella Maddalena, di poco più grande e alla ricerca disperata di un affetto, cosa che le procura non pochi guai. Questi personaggi sono destinati ad incontrarsi per gettare le basi di una nuova convivenza, un processo che le statue commentano lamentando la corruzione, la fine di qualsiasi senso civico, la decadenza dei tempi. Se l’dea di far accompagnare lo svolgersi dei fatti dai pensieri dei monumenti dei grandi del passato era decisamente originale, anche se non unica, l’uso che ne fa il regista è parzialmente deludente e abbassa il livello complessivo dell’opera a quello di un opuscolo morale, spesso moralista. In altre parole il film segna un’occasione mancata, anche se vanno segnalate l’abilità narrativa e la capacità della regia di trarre ottimi risultati da una pattuglia di attori che raduna buona parte del meglio di cui il cinema italiano può disporre.