Jack Kerouac (1922 – 1969) aveva ventinove anni quando scrisse On the Road (Sulla strada), lo fece nel cosso di una ventina di giorni, nell’aprile 1951 In quelle settimane lavorò interrottamente bevendo solo caffè, come scrisse in un diario, e trasferendo su un unico rotolo di carta, forse per telescrivente, gli appunti presi nel corso dei molti viaggi attraverso gli Stati Uniti in compagnia dell’amico Neal Cassady (nel volume Dean Moriartry) fra il 1947 e il 1949. Un lungo girovagare fra New York, Chicago, Denver, San Francisco, a Selma, Pittsburg, Paterson compiuto a in auto, a piedi, in autostop e in autobus, i mitici greyhound (levriero). Il libro, pubblicato solo nel 1957, divenne quasi subito una sorta di manifesto di quella che sarà definita la Beat generation, un movimento artistico a cui appartengono, oltre a Jack Kerouac, anche Allen Ginsberg, William Burroughs, Gregory Corso, Gary Snyder, Lawrence Ferlinghetti, Norman Mailer.
La traduzione cinematografica di quel volume, per quanto immaginata dallo stesso autore che propose a Marlon Brando di lavorare con lui alla sceneggiatura, incontrò non pochi ostacoli tanto che Francis Ford Coppola, che ne aveva acquistato i diritti molto tempo fa, ha potuto vederla realizzata solo ora a firma del regista brasiliano Walter Salles (1956) che, soprattutto dopo I diari della motocicletta (Diarios de motocicleta, 2004), conferma la sua predilezione per la trasposizione cinematografica di libri famosi. In realtà si trattava di un’impresa quasi disperata, tenuto conto le la spina dorsale del libro non è tato nei fatti quanto nell’atmosfera ribelle che emerge in una parte della gioventù americana in anni profondamente segnati dl moralismo imperante e dal neofascismo arrogante di Joseph McCarthy (1908 – 1957), ideatore e anima del famigerato comitato per le attività antiamericane (HCUA). Questo spirito è stato il catalizzatore di un’insofferenza comune a molti verso l’oppressione che si veniva rafforzando ed esplodendo nel mondo chiuso e falsamente perbenista dell’America post - bellica. Il regista brasiliano accenna solo a tutto questo puntando, invece, sul fascino del viaggio e sul ricordo di un’epoca lontana. Operazione più che legittima e, per alcuni versi anche affascinante, ma che mette da parte varie componenti, in primo luogo il suo valore letterario e il ruolo di testimone per un’intera generazione.