Salvatore e Veronica sono due quindicenni napoletani coinvolti in un fatto criminoso con ruoli opposti. Lei ha sgarrato mettendosi con un giovane appartenente a un gruppo scissionista dal clan camorrista che controlla il suo quartiere, lui, che campa malamente aiutando il padre nella vendita di granite e spremute, è stato scelto dal boss criminale per tenere in custodia la ragazza sino a sera, quando deciderà che fare di lei.
La prigione è costituita dalle mura di un edificio abbandonato e cadente - un ospedale in disuso? un ex-collegio? - pieno d’immondizia, mobili rottamati, sporcizia. In questo scenario diruto i due passano un’intera giornata, aspettando l’arrivo di chi ha ordinato il sequestro. I rapporti fra i due giovani evolvono secondo un percorso collaudato: ostilità, giocosità, progressivo avvicinamento, separazione. L'intervallo di Leonardo Di Costanzo ha un taglio molto teatrale, con dialoghi in dialetto che richiedono sottotitoli anche per l’edizione italiana. Ciò che più conta è l’emergere di un mondo disperato e del tutto privo di qualsiasi eco civile. Un panorama in cui non hanno alcun senso parole come cittadinanza e appartenenza alla comunità nazionale. Questi giovani sono come animali in trappolati in una gabbia sociale che non contempla vie d’uscita. La splendida fotografia di Luca Bigazzi ha toni falsamente documentari, capaci di trasformare rovine e giardini abbandonati in luoghi misteriosi e vere e proprie foreste, contribuendo non poco alla sensazione di un mondo separato e incomunicabile. Il film ha evidenti toni teatrali con i dialoghi che assumono un peso non inferiore alle immagini. Tuttavia questo è cinema nel pieno senso del termine e non semplice teatro filmato.